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Il realismo nell’età moderna

Il realismo nell’età moderna 

Le origini del pensiero realista vengono solitamente collocate nei primi decenni del XII secolo, con l’opera di N. Machiavelli. In particolare, egli è considerato il primo realista moderno perché per primo, nell’età moderna, afferma che la politica non è funzione dell’etica; al contrario, l’etica è funzione della politica, perché non ci può essere un’etica, una moralità reale, effettiva, dove non c’è un’effettiva autorità politica. 
Un altro elemento che fa di Machiavelli il primo realista moderno è la sua concezione della storia come una sequenza di causa ed effetto, che può essere analizzata, capita e messa a frutto. E proprio come Tucidide, così Machiavelli studia con tanta passione l’opera di Tito Livio perché è convinto che dalle vicende della Repubblica romana si possano trarre degli insegnamenti (Discorsi, I;Proemio: Volendo pertanto trarre li uomini di questo errore [non avere vera cognizione delle storie, non trarne leggendole quel senso né gustare di loro quel sapore che le hanno in sé], ho iudicato necessario scrivere sopra tutti quelli libri di Tito Livio che dalla malignità de’ tempi non ci sono stati intercetti quello che io, secondo le cognizione delle antique e moderne cose, iudicherò essere necessario per maggiore intelligenzia di essi, a ciò che coloro che leggeranno queste mie declamazioni, possino più facilmente trarne quella utilità per la quale si debbe cercare la cognizione delle istorie). 
Ne deriva dunque, anche in Machiavelli, una concezione ciclica della storia, che caratterizza più o meno tutto il realismo ⇒ non è la teoria che crea la pratica, ma è la pratica che crea la teoria, ogni riflessione astratta si basa sulla storia, sui fatti, su elementi tangibili. 
Un accenno alla politica estera ed internazionale si può trovare, se vogliamo, nel II Libro dei Discorsi, nel quale Machiavelli cerca di indicare quelli che secondo lui sono gli elementi fondamentali che hanno garantito il successo della Repubblica romana. Qui, il parallelismo che spesso viene fatto è che, come Atene, anche Roma si è ingrandita grazie alle alleanze. E questo perché, di volta in volta, Roma inglobava nel suo impero tutti gli alleati, ossia farsi compagni, no tanto però che non ti rimanga il grado del comandare, la sedia dello Imperio ed il titolo delle imprese ⇒ quegli compagni di Roma che erano in Italia, si trovarono in un tratto cinti da’ sudditi romani ed oppressi da una grossissima città come era Roma; e quando ei s’avviddono dello inganno sotto il quale erano vissuti, non furono a tempo a rimediarvi: tanta autorità aveva presa Roma con le provincie esterne, e tanta forza si trovava in seno, avendo la sua città grossissima ed armatissima (Discorsi, II;IV). 
Anche la parabola ateniese comincia con un’alleanza, ma la differenza, secondo Machiavelli, sta nel modo in cui Atene si è ampliata, ossia farsi immediate sudditi e non compagni… perché pigliare cura di avere a governare città con violenza, massime quelle che fussono consuete a vivere libere, è una cosa difficile e faticosa. E se tu non sei armato, e grosso d’armi, non le puoi né comandare né reggere. Ed a volere essere così fatto, è necessario farsi compagni che ti aiutino, ed ingrossare le tue città di popolo (Discorsi, II;IV). 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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