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L'intervento di Eufemo

La voce ateniese è Eufemo. L’esordio del suo discorso è legato all’impero ateniese nel suo complesso: riteniamo indispensabile partire da qualche riflessione sul nostro dominio: in particolare, sui diritti che ce ne garantiscono la legittimità (cap.82). Ancora una volta, Atene cerca di giustificare il proprio impero, con i classici argomenti: 
− il duello con la Persia, 
− fornimmo ai Greci il nerbo più agguerrito di forze marittime 

⇓ Si può criticare qualcuno se s’ingegna per apprestare all’incolumità propria un fidato riparo? Anche ora, preoccupandoci della nostra sicurezza, ci presentiamo in questo paese e ci rendiamo conto che i nostri interessi collimano con i vostri (cap.83) ⇒ tutto l’impero viene presentato come immediato riflesso della necessità di sicurezza, come ribadito alla fine del cap.83: abbiamo asserito che la nostra egemonia in Grecia è una misura preventiva. Per l’identico fine ci rechiamo qui… nessun intento di far schiava la Sicilia: di preservar noi, piuttosto, con la forza, da un così triste destino. 
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Le città della Sicilia non hanno nessun motivo di temere Atene, dato che per chiunque esercita un potere egemonico – persona o Stato (Atene sembra riconoscere che il suo impero è una tirannide) – non deve esistere logica diversa da quella dell’utile… L’ostilità e l’amicizia obbediscono alla politica: ed i rapporti esterni si colorano dell’una o dell’altra a seconda dell’occorrenza ⇒ non è vero che Atene deve sottomettere chiunque, indistintamente, ma valuta ciascuna situazione, di volta in volta. La politica ateniese nei confronti degli alleati è dunque differenziata ⇒ risulta quindi normale che noi qui intendiamo regolare le condizioni di ognuno secondo il nostro vantaggio, badando, lo ripetiamo, a tener d’occhio soprattutto Siracusa. Poiché essa brama di dominarvi e vuol stringervi in una lega, sollevando sospetti nei nostri confronti (cap.85) ⇒ il vero pericolo per Camarina e per le altre città neutrali è Siracusa (a costoro piuttosto s’indirizzi la vostra sfiducia), perché più vicina, i Siracusani che si trovano appena al di là delle vostre frontiere, non con un campo militare, ma da una base che è addirittura una città più poderosa dell’armata che abbiamo recato con noi approdando, non solo vi tendono agguati di ora in ora, ma quando intravedono, nella compagine di uno Stato, il varco favorevole non allentano più la loro pressione (cap.86). Per questo Camarina dovrebbe unirsi ad Atene, proprio per la comunanza d’interessi, in particolare, la minaccia alla propria sicurezza. 
Di fronte alle richieste delle 2 parti, Camarina si ritrova a riflettere sui dilemmi della neutralità: qualunque sia la scelta, è una scelta comunque impegnativa, perché la scelta di un campo implica la probabile rappresaglia da parte dell’altro campo. Al tempo stesso, le pressioni sono molto forti da parte di entrambi gli schieramenti, i quali sostengono che comunque la neutralità non sia accettabile. 
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cap.88 
Gli Ateniesi riscuotevano le loro simpatie, con la riserva che si sospettava in loro il progetto di assoggettare la Sicilia. ⇒ gli Ateniesi sono più vicini alla posizione di Camarina, ma sono al tempo stesso più temibili, perché vengono sospettati di voler appoggiare la Sicilia. 
Gli urti con Siracusa, come paese di confine, erano affare quotidiano. ⇒ il pericolo più vicino è Siracusa. 
Ma, allarmati non meno dalla possibilità che i Siracusani, stabiliti così vicini, potessero uscire dall’avventura anche privi del loro sostegno, avevano prima contribuito allo sforzo siracusano con l’invio di quello scarso contingente di cavalleria; ma per il futuro si decise, da una parte, di appoggiare (non vistosamente) piuttosto Siracusa, ma con risorse militari ridotte all’essenziale, dall’altra, come misura immediata per non urtare la suscettibilità degli Ateniesi… parve opportuno rispondere, formalmente, in termini identici ai due belligeranti. ⇒ formalmente Camarina rimane neutrale, ma, in realtà, dà un appoggio modesto a Siracusa, quel tanto che basta per non suscitare una violenta ostilità di Siracusa in caso di vittoria. 
Camarina sceglie dunque una posizione piuttosto ambivalente, diretto riflesso della sua debolezza. 
Ancora una volta, gli Spartani non sanno come agire, e in fatto di iniziative pratiche di soccorso erano restii (cap.88). È a questo punto che Tucidide riporta il discorso che Alcibiade tiene a Sparta, una volta giunto nella città, dopo essere fuggito dagli Ateniesi che lo volevano processare, e spronò gli Spartani incitandoli a scuotersi. Anche questo discorso, ancora una volta, ha come tema centrale l’imperialismo ateniese e la sua smania di espansione. 
Secondo Alcibiade, i fini dell’imperialismo ateniese erano alquanto ambiziosi: passammo in Sicilia anzitutto per soggiogare, se possibile, i Sicelioti, e per estendere poi il dominio all’Italia e mettere più tardi alla prova la resistenza dei possessi cartaginesi e di Cartagine stessa. Se il programma era coronato, in tutto o parzialmente, da lieto successo, si premeditava già da allora un’invasione del Peloponneso… per imporre al mondo greco, in tutta la sua estensione, la nostra egemonia (cap.90). 
Di fronte a questi piani, Alcibiade suggerisce le migliori strategie di risposta (cap.91): 
− Sparta dovrebbe intervenire direttamente in Sicilia: inviare in Sicilia, imbarcato sulla flotta, un esercito tale che gli uomini dopo aver servito da rematori, cingano appena approdatile armature pesanti 
− fortificare Decelea: attrezzare Decelea a base fortificata: è un incubo costante degli Ateniesi, lieti, per adesso, che tra i vari sacrifici imposti dalla guerra, almeno questa esperienza dolorosa non li abbia ancora toccati. 

Secondo Alcibiade, chi controlla Decelea controlla sostanzialmente tutta l’Attica, dal momento che Atene sarà subito spogliata delle entrate derivanti dalle miniere argentifere del Laurio…, e soprattutto il taglio sarà netto nei contributi versati dalla lega, i cui soci, riscontrando in voi un impegno più pronto alla guerra si riterranno autorizzati a compiere con molto più comodo il proprio dovere (cap.91). 
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L’occupazione di una località può comportare una serie di effetti a cascata, effetti di tipo politico, diplomatico, psicologico sugli alleati, indebolendo in qualche modo la posizione di Atene. 
Entrambe le misure proposte da Alcibiade vengono adottate dagli Spartani, che riacquistarono fiducia e confidenza, certi di aver trovato la persona più indicata per questo tipo di informazioni ⇒ stesero subito il piano per organizzare la testa di ponte a Decelea e la spedizione di primi contingenti, anche limitati, a soccorso della Sicilia (cap.93). 
Ciononostante, gli eventi sembrano evolversi a favore di Atene, tanto che l’avvenire s’apriva lieto alle speranze. Poiché Siracusa non poteva intravedere la salvezza in una ripresa del conflitto: dal Peloponneso non c’era indizio di una riscossa, di una spedizione di soccorso. Sicché si infittivano, in seno alla stessa cittadinanza, ma anche con Nicia che, deceduto Lamaco, deteneva il sommo comando, i colloqui tendenti ad un accordo (cap.103). 
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Sul campo è rimasto solo Nicia, dalla personalità moderata, prudente, ma neanche lui, secondo i canoni di Tucidide, è un capo, perché esita in momenti determinati e nelle difficoltà. 
Difficoltà che si delineano già a partire dal cap.104, quando Gilippo, comandante spartano, decise di affrettare la corsa e gli aiuti in Sicilia. 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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