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La popolarità dell’impero ateniese

Vale la pena, a questo punto, accennare la questione della popolarità dell’impero ateniese: alcuni storici hanno criticato la visione tucididea dell’impero, perché non tiene conto della solidarietà di classe tra il demos di Atene e il demos delle città alleate, che preferivano il dominio ateniese piuttosto che un regime oligarchico che li avrebbe schiacciati. 
MA, in realtà, questa visione non è molto convincente, per vari motivi: 
− il paragone tra i vari demos è un po’ troppo azzardato: sono poche infatti le città che hanno una classe popolare organizzata come quella di Atene; 
− Mitilene è un’oligarchia, accettata come tale dalle classi popolari, che preferisce l’autonomia piuttosto che essere una democrazia subordinata ad Atene; 
− a Samo non c’è nessuna traccia di un demos filo-ateniese; 
− anche le democrazie defezionano dall’alleanza ateniese; 
− tutta la città di Acanto (IV) mostra il desiderio di staccarsi da Atene; 
− ad Anfipoli (IV) la maggioranza è favorevole alla rivolta contro Atene; 
− i casi che provocano la dura rappresaglia ateniese – Tolone, Mende, Scione, Melo – sono casi in cui gli Ateniesi considerano tutta la città responsabile; 
− Frinico afferma contro Alcibiade che le città alleate preferiranno comunque defezionare, indipendentemente dal tipo di regime interno. 

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Tutti questi elementi sconfessano la tesi della popolarità di Atene tra i soggetti. 
La lotta tra fazioni spesso diventa un ulteriore strumento della lotta tra gli Stati. Ad esempio: il doppio cambiamento di regime ad Atene nel giro di breve tempo è causato da vicende esterne: la prima volta, il colpo di Stato viene innescato dalla promessa di Alcibiade di portare la Persia dalla parte di Atene; la seconda volta, il Governo dei Quattrocento viene rovesciato a seguito di una sconfitta militare. 
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Volendo cercare un nesso causale generale, esso è spesso dall’esterno verso l’interno = sono le vicende internazionali, legate alla guerra, che influenzano le vicende interne. 
Molti studiosi di relazioni internazionali sono spesso propensi ad affermare che Tucidide è un realista di questo o quel tipo. 
In generale, sia i realisti classici (che puntano soprattutto sulla natura umana) sia i neorealisti (che si focalizzano sulla struttura internazionale) possono trovare molti riscontri delle loro tesi in Tucidide: 
− R. Keohane afferma che Tucidide è tra i primi ad enunciare i 3 assunti di base del realismo classico: 
1. gli Stati sono le unità-chiave dell’azione 
2. gli Stati mirano al potere, o come fine a se stesso o come mezzo per raggiungere altri scopi 
3. gli Stati agiscono in modo perlopiù razionale e dunque comprensibile per un attore esterno al sistema. 

In particolare, Keohane basa le sue affermazione sull’interpretazione di un particolare passaggio delle Storie: 
Sono convinto che la motivazione più autentica, quella però che meno traspariva dai discorsi ufficiali, fosse la formidabile potenza conseguita da Atene e l’apprensione che ne derivava per Sparta: e la guerra fu inevitabile (I.23). 
Secondo Keohane, questo passaggio confermerebbe il fatto che Sparta abbia agito in modo del tutto razionale per proteggersi da Atene, nel modo predetto dai realisti e dai neorealisti. 
Tuttavia, nel suo saggio, L. M. Johnson Bagby ritiene che, sebbene ci siano alcune coincidenze tra il realismo classico e la prospettiva tucididea, tuttavia Tucidide non sarebbe d’accordo con i realisti classici e, in particolare, con gli assunti elencati da Keohane. Inoltre, l’interpretazione di tale passaggio data da Keohane non è per niente prova della razionalità dell’azione spartana, che ha agito solo perché incitata dai suoi alleati. 
R. Gilpin interpreta quel passaggio ritenendo che la distribuzione di potere all’interno del sistema internazionale sia un’importante determinante dell’azione degli Stati compresi all’interno del sistema ⇒ la situazione di Sparta e Atene è, secondo Gilpin, un ottimo esempio della “teoria strutturale della guerra”, dato che la crescita della potenza ateniese porta alla decisione di Sparta ad entrare in guerra ⇒ per Gilpin, la guerra del Peloponneso diventa un modello universale che si applica a tutti i casi di guerra egemonica causata dalla crescita esponenziale di una potenza. 
Allo stesso modo, però, Bagby ritiene che l’opera di Tucidide non coincida neanche con il metodo sistemico dei neorealisti. Anzi, secondo Tucidide, la comprensione delle differenze politiche e culturali tra gli Stati prima e durante la guerra del Peloponneso è cruciale per comprendere il loro comportamento. 
D. Garst legge l’opera di Tucidide affermando che le azioni degli Stati devono essere comprese sulla base delle decisioni di singoli individui. Tuttavia, neanche Garst è in grado di “fare il passo successivo”, andando ad analizzare la retorica politica della guerra del Peloponneso. 
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Bagby cerca di dimostrare come Tucidide possa aiutaci ad andare oltre il realismo e il neorealismo; la prospettiva tucididea può risultare utile nello spiegare cambiamenti e innovazioni che la struttura neorealista non è in grado di spiegare. 
Il discorso di Bagby si articola nella dimostrazione che l’opera di Tucidide si distacca dalla metodologia realista e neorealista in vari modi. 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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