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Perché le alleanze durano?

Perché le alleanze durano? 

Torna sempre l’eccezione della NATO, che continua a sopravvivere nonostante si siano verificati molti cambiamenti nel sistema internazionale. Si arriva così alla seconda questione, cui Walt cerca di dare una risposta: 
− Leadership egemonica: la presenza di un leader nell’alleanza può evitarne lo scioglimento, addossandosi una notevole parte dei costi e rendendo l’alleanza più attraente, offrendo ricompense o minacciando di punire i regimi disobbedienti. Ovviamente, molto dipende dalla volontà del leader: infatti, se il contesto internazionale cambia fino a rendere l’alleanza meno desiderabile per lo stesso leader, questo elemento a favore della durata dell’alleanza verrà meno. 
Ne deriva che: 
 - la leadership egemonica è più probabile in un mondo bipolare, dove la differenza di potere tra il leader e i suoi clienti è notevole e perché la stessa rivalità bipolare costituisce un incentivo per i leader a mantenere uniti i loro alleati; 
 - la leadership egemonica è più probabile quando i leader perseguono obiettivi su scala globale e, al tempo stesso, devono far fronte ad una seria minaccia esterna, perché in questo modo aumentano sia gli incentivi a controllare gli alleati sia il desiderio di garantirsi il sostegno degli alleati stessi; 
 - la leadership egemonica non è comunque una soluzione permanente alle tendenze centrifughe di un’alleanza. 
− Preservare la credibilità: come già detto, un’alleanza tende a sciogliersi quando i membri cominciano a dubitare dell’impegno effettivo dei partner ⇒ per evitare questa situazione, uno Stato con molti alleati dovrà evitare di abbandonare anche solo uno di essi, dato che questo potrebbe essere interpretato come segno di debolezza dagli stessi avversari. Questo elemento è più che evidente durante la Guerra Fredda, quando per motivi di credibilità, USA ed URSS arrivarono a sostenere anche alleati molto marginali. 
− Politica interna: un’alleanza può sopravvivere anche qualora dei gruppi di interesse interni hanno bisogno della stessa alleanza per sostenere i loro interessi particolari, anche se, in realtà, tale alleanza non è del tutto favorevole per l’intera società. 
− Impatto dell’istituzionalizzazione: maggiore è il livello di istituzionalizzazione all’interno di un’alleanza maggiori sono le probabilità di sopravvivenza dell’alleanza stessa. Questo avviene in vari modi: 
 - l’alleanza crea un apparato burocratico formale, in cui le prospettive professionali di molti individui dipendono fortemente dalla sopravvivenza dell’alleanza. Ad esempio, la NATO è oggi supportata non solo dagli interessi comuni dei membri, ma anche da tutta una rete di ex ufficiali, intellettuali della difesa, giornalisti ed analisti politici, la cui vita professionale è strettamente legata alla sopravvivenza della “comunità atlantica”; 
 - un elevato livello di istituzionalizzazione può creare capacità che è più conveniente mantenere anche una volta assolto lo scopo originario dell’alleanza; 
 - sebbene la NATO abbia rivolto con successo la sua missione dalla mera difesa convenzionale e nucleare alla gestione della sicurezza a livello regionale, questa trasformazione potrebbe non essere fattibile nel lungo periodo. TUTTAVIA, considerando che la NATO non ha proprie capacità indipendenti e può agire efficacemente solo quando tutti i suoi membri hanno interesse ad agire, è innegabile che i membri della NATO siano disposti a pagare un certo prezzo per gestire ogni problema della sicurezza in Europa come in ogni altro teatro internazionale; 
 - bisogna comunque considerare che la NATO è una forma di collaborazione che dura ormai da quasi 60 anni ⇒ ha creato una particolare struttura internazionale, caratterizzata, in particolare, dall’indiscussa presenza militare americana sull’intero globo. 
− Solidarietà ideologica e “comunità di sicurezza”: in generale, possiamo dire che uno Stato preferirà allearsi con quei governi ideologicamente simili, perché vedono nella loro unione un modo per promuovere certi valori, quali la democrazia, il socialismo o il fondamentalismo islamico ⇒ in molti sono portati a credere che la sopravvivenza della NATO sia dovuta anche al fatto che, ormai, gli Stati membri non sono più in grado di pensare ai loro interessi nazionali come separati da quelli più generali della “comunità atlantica”. 

Attraverso questa analisi, anche Walt cerca di spiegarsi come mai, una volta scomparsa la minaccia sovietica, la NATO sia sopravvissuta così a lungo. In generale, la risposta più semplice è che i membri hanno ritenuto fosse più conveniente preservare l’organizzazione piuttosto che abbandonarla: per l’America, la NATO era uno strumento molto utile per forgiare il nuovo ordine internazionale, mentre per gli Europei, la NATO era un ottimo strumento per mantenere la presenza americana sul continente, evitando così la “rinazionalizzazione” della sicurezza europea. 
In tutto ciò, è innegabile l’influenza dell’operato americano nel mantenimento della NATO ⇒ in futuro questi rapporti dipenderanno fortemente dalla politica estera degli stessi USA. 
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In pratica, Walt giunge alle stesse conclusioni di Olson e Zeckhauser: le probabilità di sopravvivenza della NATO dipenderanno molto anche dalla disponibilità degli USA di sostenere la maggior parte dei costi dell’alleanza. 
Tuttavia – lato negativo della questione – la dissoluzione dell’Unione Sovietica ha privato comunque la NATO di una base della legittimità del suo operato ⇒ un tema molto delicato sarà la gestione futura dell’alleanza. In particolare, gli USA si trovano di fronte all’ennesimo dilemma: essere titubanti ad agire, come in Bosnia, cosa che minerebbe la loro credibilità, o viceversa mostrarsi decisi ad usare la forza, come in Iraq, cosa che però metterebbe in discussione la legittimità dell’operato stesso americano? Questo dilemma è esacerbato ancora di più dalla presenza di tutta una serie di elementi: 
− l’impegno americano si basa sempre più su un elevato livello delle spese militari (circa il 35% del totale mondiale), sempre più difficile da giustificare agli occhi dell’Opinione Pubblica americana ⇒ i leader americani devono pensare di ridurre drasticamente tali spese, limitando il loro impegno, cosa che, però, comporterebbe il rischio di un riallineamento degli alleati insoddisfatti di questa scelta; 
− l’attenzione degli USA si sta spostando sempre più verso l’Asia ⇒ sebbene l’Europa resti comunque importante agli occhi degli americani, si verificherebbe un cambiamento di interessi che potrebbe portare le grandi democrazie alleate a scontrarsi duramente. 

È ovvio dunque che, con la fine della Guerra Fredda, cambia innanzitutto il contesto sistemico, che da bipolare diventa unipolare. Riflesso quasi inevitabile dell’unipolarismo è l’unilateralità dell’azione politica. Ovviamente, chi gode di una posizione di potere, cercherà di mantenerla il più a lungo possibile, mettendo in atto le strategie di Blau, di cui si è già ampiamente parlato (cosa che hanno evidentemente fatto gli USA nel corso degli anni ’90, come vedremo in seguito). 
Ma, soprattutto, manca un nemico comune ⇒ questo elemento ci porta a sospettare che l’alleanza sia diventata eterogenea = la causa comune si è assottigliata e, accanto ad essa, emergono con sempre più forza diverse cause nazionali particolari, soprattutto quelle delle grandi potenze, Francia e Germania in primo luogo. 
Molti affermano che dopo l’11 settembre il mondo non è più lo stesso. 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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