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Leadership civile


In chiave comparata i regimi guidati da civili avranno maggiori capacità istituzionali, simboliche e inglobanti per iniziare, dirigere e gestire una transizione democratica rispetto ai leader militari e sultanistici. I leader civili sono spesso più motivati ad iniziare e più capaci a negoziare un complesso patto di riforma di quanto lo siano i militari. Rispetto ai militari e ai leader sultanistici essi hanno spesso maggiori legami con la società. Ic ivili possono anche considerarsi potenziali vincitori delle elezioni e governanti in un futuro regime democratico. Questa opzione è molto meno probabile invece per i governanti militari e sultanistici. La liberazione voluta dai civili può riequilibrare il sistema o permettere a gruppi di vincere le elezioni con mezzi efficaci ma non democratici a causa dell’acceso privilegiato alle leve del potere. La capacità dei leader civile di un regime non democratico precedente di porre ostacoli sulla strada del consolidamento democratico come la creazione di domini riservati di potere concessi dalla costituzione siano inferiori rispetto alle probabilità connesse alla presenza di un’organizzazione militare. In caso di un regime non democratico guidato da civili basato su un partito monopolistico potrebbe sembrare un’eccezione rispetto a quanto detto finora. Tale fondamento organizzativo dovrebbe essere considerano come un ostacolo per il consolidamento democratico comparabile a un’organizzazione militare gerarchica che abbia appena lasciato il potere? Alcuni atticisti politici temevano che un partito comunista al potere e un governo formato da militari gerarchici, se sconfitto, fossero equivalenti funzionali nella loro capacità di impedire il consolidamento della democrazia. Tuttavia crediamo che nei casi in cui il partito comunista sia stato sconfitto nel corso di elezioni libere e competitive tale analogia sia fuorviante sotto 2 profili: i rapporti organizzativi con l’apparato statale e gli incentivi. A mano che non sia stata sconfitta militarmente e dissolta da nuovi governanti democratici, la gerarchia militare come organizzazione, si ritirerà come unità interna all’apparato statale dove manterrà ancora importanti funzioni statali e risorse distribuite dallo stato. invece, un partito comunista sconfitto pur potendo mantenere il controllo di molte risorse e realtà che lo aiuteranno a competere in elezioni successive, non ha alcuna base organizzativa comparabile nell’apparato statale, non ha alcuna possibilità di continuare a chiedere le risorse al nuovo stato e non ha funzione statale permanente. Si tratta di un partito sconfitto non più al potere che benché in futuro possa vincere elezioni aperte detiene meno risorse collettive per imporre domini riservati rispetto ai militari non più al potere. Tuttavia in alcune società vicine al polo totalitario, prive di precedenti esperienze politiche democratiche e liberali, personalità importanti nella nomenclatura riescono a vestire un abito nazionalista e impegnarsi per la costruzione di una etnocrazia. In tali contesti la società civile è troppo debole per dar vita a una società politica competitiva e i membri della nomenclatura sono capaci di impossessarsi del potere e legittimarsi con le elezioni. Per quanto riguarda gli incentivi a un certo comportamento, dopo la sconfitta in elezioni libere e competitive, i comunisti della vecchia nomenclatura occuperanno ancora numerosi ruoli di rilievo nell’apparato statale, in particolare nelle aziende statali. I membri della vecchia nomenclatura grazie alla loro rete di contatti, possono assicurarsi una posizione privilegiata nell’emergente economia capitalistica e una significativa influenza politica. Il sistema degli incentivi è diverso per i militari. Gli incentivi per i militari sono collettivi e dipendono dalle lotte necessarie per mantenere prerogative di gruppo che evitino azioni collettive dannose. Di conseguenza per i militar non più al potere vi possono essere significativi incentivi ad agire collettivamente attraverso una contrapposizione al nuovo regime democratico.

Tratto da TRANSIZIONE E CONSOLIDAMENTO DEMOCRATICO di Filippo Amelotti
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