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Le azioni positive della Suprema Corte


La prima forma di opposizione al razzismo americano sorge nel 1954, in seguito al caso concernente la segregazione Brown contro Board of Education, che avvia la cosidetta "Affirmative Action Policy" (in Italia conosciuta come "Politica delle Azioni Positive"), strumento di vera e propria ingegneria sociale, atto ad accelerare una più vasta integrazione socio-culturale tra la razza bianca e quella nera.
L'opinione pubblica americana, attualmente, appare più che mai divisa sull'opportunità e necessità di sfruttarne l’efficacia giuridica; da un lato, i fautori ne sostengono l’indispensabilità, volta a migliorare lo stesso concetto democratico di uguaglianza formale, mentre il versante degli oppositori ne contrasta la conseguente violazione delle pari opportunità tra i due gruppi etnici, non giustificabile dalle ingiustizie patite dalle minoranze nell’epoca passata.
Le azioni positive possono essere configurate in diverse forme: quote riservate alle razze, studi sulla razza, consulenza per la razza riguardo alla preparazione, alla propedeutica ed ai programmi antidiscriminatori ed, infine, preferenze in base alla razza.
A prescindere dall’eventuale adozione quale rimedio giudiziario, le quote per la razza sono state chiaramente condannate dalla Corte Suprema, quale caso di provata violazione costituzionale.
Il dibattito attuale, al contrario, si concentra prevalentemente sull’uso delle preferenze in base alla razza, emerse nei settori del lavoro, dei contratti governativi (contratti pubblici) e dell’istruzione superiore. Prima del caso Grutter contro Bollinger deciso il 23 giugno del 2003, la Corte Suprema ha giudicato incostituzionali praticamente tutte le azioni sollevate in questi tre ambiti, nonostante abbia sostenuto di non condannare a priori ogni utilizzo discriminatorio della razza.
Avendo fornito l’occasione per ridefinire il concetto di azione positiva in relazione al retroterra razzista americano, senza dubbio, il caso Grutter contro Bollinger merita una particolare ed attenta analisi giuridica.
Barbara Grutter, una residente bianca del Michigan, nel 1996 aveva presentato domanda alla Law School dell'Università del Michigan, per essere ammessa al primo anno di corso; inizialmente, la sua domanda fu inserita tra quelle della "lista d'attesa" e, successivamente, respinta.
La signora Grutter decise, quindi, di proporre ricorso alla Corte di distretto, sostenendo l'illegittimità del programma di ammissione adottato, che considerava, quale fattore predominante di idoneità scolastica, la provenienza etnica dei candidati; la Law School, infatti, avrebbe assunto questa scelta, in violazione all'Equal Protection Clause del XIV Emendamento («NO STATE SHALL DENY TO ANY PERSON WITHIN THE JURISDICTION THE EQUAL PROTECTION OF THE LAW») ed al Titolo VI del Civil Rights Act del 1964 («NO PERSON IN THE UNITED STATES SHALL, ON THE GROUNDS OF RACE, COLOR OR NATIONAL ORIGIN, BE EXCLUDED FROM PARTICIPATION IN, BE DENIED THE BENEFITS OF, OR BE SUBJECTED TO DISCRIMINATION UNDER ANY PROGRAM OR ACTIVITY RECEIVING FEDERAL FINANCIAL ASSISTANCE»).
La suddetta politica di ammissioni, adottata nel 1992 ed attualmente ancora in vigore, prevede, nell'intento di scegliere gli studenti più capaci, che le qualifiche dei candidati siano valutate in conformità ad un "index score", costituito dal punteggio ottenuto nel test d'ingresso della Scuola (LSAT) e dalla media dei voti universitari (GPA). Secondariamente, stabilisce un attento impegno nel garantire la differenza etnica e razziale del corpo studentesco, attraverso l'iscrizione di studenti appartenenti a gruppi storicamente discriminati (Afro-Americani, Ispanici e Nativi americani); nella ferma convinzione che, senza il ricorso a trattamenti preferenziali, questi ultimi non arriverebbero mai ad essere rappresentati in modo indicativo nelle istituzioni universitarie, si propone di aumentarne la presenza. L’obiettivo ultimo di tale scelta considera la diversificazione tra gli studenti, rispetto alle capacità atletiche, all’età, alle esperienze di vita, alla provenienza geografica e ad altre componenti, quale un maggior incentivo alla formazione di una critical mass, tanto rilevante per le caratteristiche stesse della Law School.
Le argomentazioni della Scuola non hanno, tuttavia, convinto la Corte di distretto, che, nel marzo 2001, ha accolto il ricorso della signora Grutter, giudicando incostituzionale l’atteggiamento tenuto dalla Law School. Secondo i giudici, infatti, i criteri utilizzati prendono in considerazione la razza non semplicemente come uno fra i tanti fattori rilevanti, ma, al contrario, come un elemento preponderante, al fine di formare delle classi con una certa percentuale di studenti Afro-Americani, Nativi americani e Ispanici. In questo modo, la politica di ammissione finisce, in pratica, per funzionare come una quota razziale, incostituzionale perché riserva alle minoranze un numero predefinito di posti.
Di tutt'altro avviso è stata, invece, la Corte di appello del Sesto Circuito, che, nel maggio 2002, con una decisione sofferta (presa con una forte minoranza di quattro giudici dissenzienti su nove previa lo standard dello "strict scrutiny"), ha ribaltato la sentenza della Corte di distretto ed ha annullato l'ingiunzione che vietava alla Law School di assumere la razza e l'etnia come elementi rilevanti nelle decisioni sulle ammissioni.
Diversamente dai giudici di primo grado, nel caso Grutter contro Bollinger, la Corte di appello si è pronunciata nel senso della piena costituzionalità del programma di ammissioni, ritenuto perfettamente corrispondente al "compelling interest" della Scuola, che desidera assicurare "una diversità di punti di vista e di esperienze" al corpo studentesco multietnico.
Il sistema adottato, inoltre, è stato giudicato per nulla equivalente ad una quota di riserva, poiché la razza rappresenta solo un fattore aggiuntivo, "narrowly limited" al conseguimento dell’interesse superiore e, quale ulteriore conferma, non è stato fissato alcun target numerico a favore delle minoranze.
Di conseguenza, si evidenzia come le condizioni di ammissibilità dei sistemi "sensibili" alla razza debbano ancora ritenersi quelle indicate dal giudice Powell nella sua "concurring opinion" al caso Bakke del 1978: l’esistenza di un rilevante interesse pubblico da perseguire e la rispondenza dei criteri di ammissione al requisito del c.d. "narrow tailoring", che impone l'aderenza dei mezzi scelti a quell'interesse.
Soltanto il pieno soddisfacimento di queste due condizioni assicura agli strumenti basati sulla razza il superamento dello "strict scrutiny" di costituzionalità, cui essi devono essere necessariamente sottoposti, secondo la giurisprudenza costante della Corte Suprema.
Il caso Grutter, quindi, non ha segnato apparentemente alcun cambiamento considerevole nel diritto costituzionale delle azioni positive e non è stato chiarito se ci siano degli usi ammissibili o meno della razza, poiché la situazione legislativa è in sostanza quasi immutata rispetto all’epoca precedente; al contrario, sebbene la Corte abbia convalidato l’uso limitato della razza nel caso postole di fronte, quest’ultima ha lasciato aperta la questione se la ratio alla base del caso Grutter si possa estendere al di là della formazione superiore.
La decisione ha prodotto reazioni ostili verso le azioni positive e ha dato nuova forza agli sforzi legislativi per proibirne l’uso, ricordando, ancora una volta, che la strada verso la giustizia razziale è un cammino lungo e pieno di ostacoli.
Già nei passati 20 o 30 anni, l’ideologia conservatrice ha prevalso: individualismo eccessivo ed indifferenza verso le questioni che preoccupano la comunità hanno prodotto ostacoli reali e concreti al progresso in tema di razze. Senza dubbio, se le azioni positive non sono approntate e disponibili e se la legge si limita a contrastare la discriminazione intenzionale, sarà difficile ridurre la disuguaglianza razziale e la segregazione sulle nostre grandi città.
Queste sono le ragioni principali per cui le azioni positive, essendo una delle poche armi efficaci nella lotta per contrastare la segregazione razziale, devono progredire nella loro formulazioni ed affermarsi come valide ed indispensabili.

Tratto da AFFRONTARE IL RAZZISMO IN AMERICA di Luisa Agliassa
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