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Articolo 3: ciò che Dio fa è sommamente perfetto

Leibniz non approva nemmeno l’opinione di alcuni moderni i quali sostengono che ciò che Dio fa non è al più alto grado di perfezione, e che Egli avrebbe potuto agire molto meglio. Un’opinione di questo tipo è contro la gloria di Dio: se Dio ha agito con minor perfezione di quanto si sarebbe potuto, allora ha agito imperfettamente, e dire dell’opera di un architetto che poteva farla meglio, significa trovarvi a ridire. Questa posizione contesta anche la Sacra Scrittura che ci assicura la bontà delle opere di Dio. Il mondo creato da Dio, secondo questi pensatori, si troverebbe a uno stadio intermedio tra l’assoluta perfezione e l’assoluta imperfezione. Esso sarebbe sicuramente migliore in relazione a tanti altri infiniti mondi, ma l’opera di Dio deve essere buona in assoluto e non buona in relazione alle cose ancora meno perfette. Non è certo molto lodevole una cosa che si possa lodare solo in questo senso. I moderni considerano ciascuna cosa in particolare e non nell’insieme in cui questa cosa è inserita. Così facendo, ritengono che una cosa sia male, ma se la si inquadrasse nell’armonia dell’universo, la si rivaluterebbe e riconoscerebbe in quanto bene. La tesi dei moderni si fonda, secondo Leibniz, sulla scarsa conoscenza che l’uomo ha dell’armonia generale dell’universo e delle ragioni nascoste dell’agire divino. Il loro limitato punto di vista gli impone di compiere queste osservazioni. Per cui giudicano temerariamente che questo mondo sarebbe potuto essere stato creato migliore di quello che è in effetti. Essi, infatti, immaginano che non esista nulla di così perfetto che non vi sia qualcosa di più perfetto ancora. E con questo credono di salvare anche la libertà di Dio. Essi intendono, infatti, la libertà come arbitrarietà della scelta. Ma per Leibniz agire liberamente significa agire secondo la suprema ragione. Dio agisce sempre secondo ragione. Se Dio dovesse scegliere tra A e B e scegliesse A senza alcuna ragione per preferirla a B, tale azione non avrebbe nulla in sé che la renderebbe lodevole. «Ogni lode infatti deve essere fondata su qualche ragione, che qui, per ipotesi, non si trova».

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