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Fase 3 verso la maturità dell'uomo – Crisi del legame


Basta pensare a Dante: in “nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura che la diritta via era smarrita”.
⇓ Dante ci mostra che ad un certo punto la persona deve rivedere il proprio percorso. Gli antichi temevano molto (l’immagine che segue deriva dall’ambiente monastico) quello che chiamavano il “demone di mezzogiorno” che è la stessa cosa di cui parla Dante. In una giornata “mediterranea” il mezzogiorno è l’orario che va dalle 10 alle 2 ed è l’orario “morto” della giornata in cui il sole sta in alto, c’è afa ed il lavoro viene sospeso. Diventa l’immagine un po’ dello stallo della vita, in cui la persona ha realizzato delle cose nelle ore più fresche, al mattino, arriva a metà e vede la stanchezza e il lavoro che ha realizzato. In qualche modo sente anche la fatica di riprendere il lavoro, di rimettersi all’opera. Gli antichi chiamavano questo demone “achedia”, consistente proprio in una stasi, in una pigrizia nel riconfermarsi, noi oggi lo chiamiamo depressione. In questo tipo di insoddisfazione la persona non ne sa individuare la causa: fa l’esperienza di aver realizzato delle cose che vanno tutte più o meno bene, però comincia ad emergere questa sensazione di stanchezza, e la persona ormai è abbastanza “esperta” da sapere che questo tipo diinsoddisfazione non se ne va “distraendosi per un pò”. È il segnale della necessità di cambiare. Il problema antropologico è quello di decifrare l’insoddisfazione. Andiamo a riprendere la citazione di Aristotele (p.7) e rileggendola capiamo una cosa: emerge con forza il problema del per sempre. Nella “crisi di mezza età” quello che la persona inizia ad avvertire è esattamente il “presentimento della propria fine” e quindi quello slancio a tempo indeterminato che animava la stagione precedente comincia a misurarsi con il tema della morte. La persona comincia ad avvertire questo desiderio di durata eterna (il per sempre) e sotto sotto comincia anche a capire che i grandi investimenti esistenziali che ha fatto finora non possono garantire tutto questo, le risposte che vi ha dato cominciano a divenire più fragili. Ma se è vero che c’è questo desiderio di durata, di esserci per sempre allora che cosa garantirà quel fondamento per esserci per sempre? Questa è la domanda che emerge.
Le persone mettono a fuoco la duplicità del proprio desiderio: noi desideriamo sia la realizzazione (tutti i legami che rendono buona la vita) sia la vita per sempre. In questa stagione la persona se ne accorge, tramite questa “insoddisfazione”. Ricordiamo l’icona del notabile ricco di Luca: si tratta di una persone che ha realizzato tanto e codifica la sua insoddisfazione con una domanda ben precisa: “cosa devo fare per ottenere la vita eterna?”

Tratto da ANTROPOLOGIA APPLICATA di Chiara Trattenero
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