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Notifica degli atti impositivi

Notifica degli atti impositivi


Come già accennato in precedenza, il fisco ha il vantaggio di poter esigere la riscossione tributaria da uno dei suoi condebitori, notificando solo a questi l’accertamento contenente la pretesa d’imposta.
In passato si riteneva che codesta notifica, effettuata nei confronti di uno dei co-obbligati, dispiegasse effetti giuridici anche nei confronti degli altri.
Tutto questo per garantire l’unitarietà nella definizione del rapporto fisco-contribuenti (co-obbligati), senza però preoccuparsi degli svantaggi che ciò comportava nei confronti dei secondi, i debitori, le cui posizioni venivano così del tutto penalizzate rispetto al loro creditore, l’Amministrazione finanziaria, e vedendosi, tra l’altro, così limitati nel loro costituzionale diritto di difesa.
Tale meccanismo, detto supersolidarietà, è stato perciò dichiarato dalla Corte Costituzionale incostituzionale, in quanto nessun  soggetto  può subire gli effetti di un atto di cui non è stato portato a conoscenza.
Sotto questo aspetto rileva la questione relativa all’impugnazione degli atti normativi, effettuabile entro certi termini di decadenza (60 giorni dalla notifica), scaduti i quali l’atto non impugnato diventa definitivo: secondo il vecchio sistema, l’atto produrrebbe effetti vincolanti non solo nei confronti del destinatario della notifica, bensì anche nei confronti degli altri soggetti co-obbligati, seppur ignari della stessa.
Per ovvie ragioni è prevalsa successivamente la tesi per cui gli atti notificati ad un soggetto hanno efficacia soltanto nei confronti di quest’ultimo.
Anche questa nuova impostazione ha però creato problematiche non di poco conto, palesabili analizzando la seguente questione: si supponga che il fisco notifichi l’atto di accertamento a tutti i condebitori (nella fattispecie due) e  uno di essi impugni l’atto in questione, ottenendone l’annullamento,  l’altro rimanga inerte (facendo in modo che l’atto di accertamento diventi nei suoi confronti definitivo, ovvero vincolante).
Il soggetto che non ha impugnato diligentemente e quindi perseguito dal fisco, essendo un obbligato solidale, una volta estinto l’intero debito tributario, può intentare un’azione di regresso nei confronti dell’altro co-obbligato relativamente alla sua parte (il quale però ha ottenuto l’annullamento dell’atto tributario e quindi l’esclusione dal pagamento dell’imposta tributaria); si evince come la situazione possa creare problemi in ordine al principio di eguaglianza.
La giurisprudenza ha cercato di ovviare a tale nodo giuridico prospettando una soluzione ravvisabile nell’art 1306 c.c. , secondo cui  fra più condebitori solidali il giudicato favorevole si propaga.
In ragione a ciò, colui che non ha negligentemente impugnato l’atto di accertamento può comunque opporsi al pagamento dell’imposta solidale, appellandosi alla sentenza di annullamento emessa a favore dell’altro co-obbligato.
Si precisa però che la possibilità di opporre un giudicato favorevole non è ammessa se l’obbligato ha anch’egli impugnato l’atto ottenendo però un giudicato contrario.
La via risolutiva proposta dalla giurisprudenza denuncia un difetto concettuale di fondo: questa trasposizione della disciplina civilistica in materia tributaria non tiene conto del fatto che gli atti definitivi fanno stato così come le sentenze.
Attualmente la Cassazione ha tentato di superare il sopra descritto paradosso logico con il seguente principio: ogni qual volta che, per effetto della norma tributaria o per l’azione esercitata dall’amministrazione finanziaria, l’atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione una pluralità di soggetti, e il ricorso proposto da uno o più degli obbligati abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del ricorrente, ma la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario nel processo tributario ai sensi dell’art 14, comma 1, D.Lgs. n. 546 del 1992.
In base a ciò, se l’oggetto del ricorso riguarda più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi.
In caso contrario, è ordinata dalla Commissione tributaria l’integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza.
Questa impostazione, però, tende a smontare il fondamento dell’istituto della solidarietà, ovvero la facoltà per il fisco di poter soddisfare il credito tributario per l’intero, rivolgendosi ad uno solo dei soggetti passivi obbligati in solido.
Pertanto, parte della dottrina ritiene che i problemi quì sopra affrontati possano essere superati soltanto considerando autonomi i vari rapporti tra il singolo condebitore e il fisco.
 In ordine al meccanismo di notifica, in generale, può essere colta un’ulteriore distinzione tra regime di solidarietà paritetica e dipendente: la Cassazione ritiene sufficiente notificare al responsabile d’imposta, come primo atto della procedura, un atto della riscossione successivo allo accertamento (necessariamente reso noto all’obbligato solidale paritetico), in quanto il debito tributario coinvolge essenzialmente i condebitori principali.
Altra regola giurisprudenziale è la cosiddetta interruzione di decadenza.
In generale, l’amministrazione, per recuperare le imposte non pagate dal soggetto passivo, deve notificare l’atto di accertamento entro certi termini di decadenza, a pena di nullità delle sue pretese tributarie.
Con riferimento alle obbligazioni tributarie, la giurisprudenza ha asserito che, al fine di evitare la decadenza nei confronti di tutti i co-obbligati, sia sufficiente che l’ufficio tributario rispetti tali termini nei confronti di uno solo di essi, conservando così il suo potere pretensivo su tutti gli altri.
La suddetta elaborazione giurisprudenziale risulta opinabile, in quanto ad interrompersi è la prescrizione (cioè un diritto tra soggetti, in posizioni di parità, non esercitato per lungo tempo).
La decadenza è invece un limite di un potere attribuito ad un soggetto sovraordinato, potere che, se non esercitato nei termini, si estingue, per cui i destinatari dello stesso non sono più sottoposti a soggezione; ragion per cui asserire che ‘si interrompe la decadenza’ significa tralasciare il fatto che quello dell’amministrazione finanziaria non è il diritto di un privato bensì il potere di un soggetto pubblico.

Tratto da APPUNTI DI DIRITTO TRIBUTARIO di Luisa Agliassa
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