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La teoria delle World e Global Cities


La teoria delle World e Global Cities e la teoria dell’Impero si rifanno ad una concezione del mondo più orizzontale e policentrica rispetto alla teoria di Wallerstein, si tratta infatti di visioni che accentuano la formazione di forme di potere rizomatico e sottolineano

Teoria delle città globali
(New York, Londra e Tokyo) di Saskia Sassen, secondo cui l’idea del succedersi di centralità oggi è messa in crisi perché il mondo contemporaneo è un mondo democratico di policentrismo.
Viene a meno l’importanza che gli stati nazionali hanno nella gestione a livello internazionale in quanto l’economia è sempre più puntiforme e le città assumono un ruolo più ampio diventando i nodi di un’economia organizzata per reti network.
La teoria delle città globali sviluppata negli anni Novanta rappresenta un’alternativa al sistema mondo affermando che non esiste più un solo centro ma una molteplicità di centri.
Tutte le città sono unità in una sorta di Trans -National network, rete all’interno della quale gli elementi non sono tutti alla pari ma ci sono città più importanti che sono le grandi capitali planetarie dove vengono concentrati i saperi e le conoscenze (Tokyo). Queste capitali hanno più relazioni tra loro di quante non ne abbiano con la nazione in cui si trovano.
Si viene a costituire una rete policentrica delle città e tutti i rapporti di economia che c’erano prima sono stati cancellati dalla globalizzazione che ha fatto una sorta di tabula rasa.
Nelle città globali si assiste inoltre alla distruzione dei ceti medi e alla formazione di nuove élites globalizzate che svolgono i cosiddetti lavori importanti a cui si contrappone una massa di poveri, questo comporta difficoltà ad accedere al bene casa essendoci una riduzione dell’edilizia sociale in questo contesto si è inserito il fenomeno della gentifrication e quindi una competizione per lo spazio da cui sono usciti sconfitti i ceti popolari che sono stati allontanati da alcune zone della città e per trovare una nuova sistemazione hanno pagato il prezzo di una periferizzazione e segregazione al di fuori dai centri città.

Antonio Negri e Micheal Hardt elaborano la teoria dell’impero rizomatico, che è molto vicina alla teoria di Saskia Sassen, ovvero con la globalizzazione non c’è un centro ma un rizoma che prolifera sviluppando sempre nuovi nodi e quindi si ha un potere sempre più diffuso attraverso l’emergere di nuove centralità.
Questa teoria ha anche delle zone d’ombra, ovvero quei luoghi privi di attrattiva e di possibilità di sviluppo in cui nessuno vuole investire e ci si interroga sul loro destino in funzione della globalizzazione, cioè crescono o diminuiscono?

Tratto da SOCIOLOGIA DELLA CITTÀ di Francesca Zoia
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