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Footprinting con la DNasi I

Footprinting con la  DNasi I

Il footprinting con la DNasi permette di identificare quale porzione di una sequenza, per esempio di un promotore, contiene elementi di controllo legati da fattori di trascrizione o più in generale da proteine.
Se un frammento di DNA è legato da una proteina, la regione  di legame è protetta dal trattamento con la nucleasi DNasi I, che taglia tutti i legami fosfodiesterici tranne quelli protetti dalla proteina legata. Quindi, per iniziare, il frammento di DNA da saggiare è marcato ad una estremità. A questo punto, viene mescolato alla proteina da saggiare (o a un estratto nucleare se la proteina non è stata ancora purificata). Si effettua un trattamento con la DNasi I in condizioni limitanti (bassa quantità di enzima) in modo che ciascuna molecola del frammento di DNA venga tagliata una sola volta. Successivamente, viene rimossa la proteina, si esegue una elettroforesi su gel di poliacrilammide ad alta risoluzione (bisogna separare frammenti che differiscono per una sola base) e si visualizzano i frammenti marcati. 
Come controllo si carica lo stesso frammento sottoposto a digestione con DNasi, in assenza dell’estratto nucleare (o della proteina). Si ottengono tante bande quante sono le basi del frammento. La regione protetta dalla proteina alla DNasi I appare come un “gap” nel pattern di bande, ossia si ha la scomparsa graduale delle bande nella regione del footprint, dove è avvenuta la protezione del DNA dipendente dalla concentrazione della proteina aggiunta. Un metodo per amplificare particolari frammenti di DNA, diverso dal clonaggio e dalla propagazione nell'organismo ospite, invece, è la reazione a catena della polimerasi (polymerase chain reaction, PCR). La PCR sfrutta la reazione di sintesi in vitro del DNA, reazione catalizzata dalla DNA polimerasi. 
Questo enzima richiede per il suo funzionamento uno stampo (template), rappresentato da un filamento di DNA a cui deve trovarsi appaiato un primer (corto oligodeossinucleotide), che funge da innesco fornendo un 3' OH libero, e la presenza di deossinucleosidi 5’-trifosfato (dNTPs). La reazione di PCR si basa sull’uso di due primer di lunghezza pari a 18-20 nucleotidi, che sono disegnati in modo da essere esattamente complementari alle corrispondenti sequenze fiancheggianti il tratto di DNA da amplificare. I due primer sono diretti in direzione opposta ma convergente e definiscono le estremità del futuro prodotto dell’amplificazione. L’attività della DNA polimerasi determinerà la sintesi di nuovi filamenti a partire da ciascun primer. La reazione è divisa in tre stadi, ciascuno condotto ad una temperatura diversa. La prima tappa è la denaturazione che viene effettuata a temperatura di 94°C per separare i due filamenti della molecola stampo. Sono infatti i primer che, nella seconda tappa della PCR (annealing) appaiandosi ai filamenti denaturati, determinano il punto di innesco della sintesi di DNA. 
La reazione di annealing avviene a temperatura inferiore a quella di denaturazione in modo da consentire ai primer di appaiarsi alle sequenze complementari. La temperatura di annealing è un parametro variabile e critico nel determinare la specificità della PCR (vedi disegno dei primer e scelta della temperatura di annealing). Di norma questa temperatura è compresa tra 50-60°C. La tappa successiva (polimerizzazione o estensione) è condotta a 72°C, temperatura ottimale per la DNA polimerasi del batterio termofilo Thermus aquaticus (Taq DNA polimerasi), enzima che viene usato nella maggior parte delle applicazioni. Questa tappa dura in funzione della lunghezza del tratto da sintetizzare (la Taq DNA polimerasi in media sintetizza 1kb/min). Prima dell’isolamento delle DNA polimerasi termostabili si usava la DNA polimerasi I di E.coli che però si inattivava ad ogni tappa di denaturazione e doveva quindi essere aggiunta alla miscela di reazione ad ogni ciclo. 
L’isolamento delle DNA polimerasi da batteri termofili ha consentito di automatizzare la reazione che adesso viene effettuata tramite speciali strumenti detti termo-ciclatori (thermo-cyclers). Il ciclo di denaturazione-appaiamento-estensione è ripetuto 20-30 volte in modo tale da ottenere una grande amplificazione del DNA compreso nella regione di appaiamento dei due primer. I primi prodotti discreti di PCR si formano a partire dal terzo ciclo e si accumulano con un andamento di tipo esponenziale. Comunque, i fattori più importanti per la riuscita della PCR sono la scelta dei primers e la temperatura di annealing, se quest'ultima è troppo alta i primers non si appaiano, se invece, è troppo bassa si avranno degli appaiamenti indesiderati. I primers, invece, dovrebbero avere la stessa Tm, non essere complementari tra loro e non dare luogo a strutture secondarie stabili.
Il saggio di ritardo di mobilità elettroforetica, detto anche EMSA (Electrophoretic Mobility Shift Assay), si basa sulla diversa mobilità elettroforetica che un frammento di DNA presenta quando è complessato con una proteina. Infatti, un frammento di DNA migra in un campo elettrico, con una velocità che dipende dalla sua lunghezza. Se al frammento di DNA è legata una proteina, la sua mobilità elettroforetica diminuisce. 
Questo può essere facilmente identificato comparando la mobilità con quella del campione di controllo a cui non è stata aggiunta la proteina. Per questo, all'inizio della tecnica, il frammento da analizzare è marcato terminalmente ed è incubato con un estratto di proteine nucleari. Si procede, quindi, all'elettroforesi su poliacrilammide mentre nel pozzetto adiacente è caricato lo stesso frammento a cui non è stato aggiunto l’estratto nucleare. Dopo la corsa il gel viene essiccato e poi sottoposto ad autoradiografia. Se una proteina presente nell’estratto nucleare lega il frammento, il complesso DNA-proteina ha una mobilità elettroforetica ritardata rispetto a campione di controllo. 
L'immunoprecipitazione della cromatina (ChIP), infine, è un metodo ampiamente usato per identificare le proteine specifiche connesse con una regione del genoma, o al contrario, per identificare le regioni del genoma connesso con le proteine specifiche. Queste proteine possono essere isoforme degli istoni modificati ad un amminoacido particolare o ad altre proteine associate alla cromatina. Quando viene utilizzato con gli anticorpi che riconoscono le modifiche dell'istone, il ChIP può essere usato "per misurare" la quantità della modifica. Un esempio è la misura della quantità di acetilazione dell'istone H3 connessa con una regione specifica del promotore del gene nelle varie circostanze che potrebbero alterare l'espressione del gene. Gli istoni non sono le uniche  che possano essere studiate usando questa tecnica. Gran parte dell'interesse recente è focalizzato anche nell'analisi della distribuzione dei fattori di trascrizione.  L'utilizzo del ChIP prevede che le cellule siano inizialmente fissate con formaldeide per effettuare il cross-linking del DNA e poi la cromatina viene raccolta dalle cellule e sottoposta ad un processo di immunoselezione, che richiede l'uso degli anticorpi specifici (il cross-linking in vivo con formaldeide lega covalentemente le proteine al DNA con cui interagiscono. 
Le cellule vengono lisate e il DNA viene rotto in frammenti di 200-300 bp mediante sonicazione. L'immunoprecipitazione (IP) con un anticorpo (AB) specifico per la proteina di interesse consente la separazione del DNA legato dal resto del genoma. Il cross-linking può essere rimosso mediante riscaldamento, e il DNA identificato mediante PCR). Tutte le sequenze del DNA unite con cross-linking alla proteina di interesse coprecipiteranno come componente del complesso della cromatina. Dopo l' immunoselezione dei frammenti di cromatina e purificazione di quelli associati a DNA, la rivelazione delle sequenze di DNA specifiche viene svolta. Se il DNA che sarà rilevato è associato alla modifica dell'istone o della proteina che è esaminata, la rappresentazione relativa di quella sequenza del DNA sarà aumentata (o sarà arricchita) tramite il processo di immunoprecipitazione. Solitamente una PCR standard è effettuata per identificare la sequenza del DNA (il gene o la regione del genoma) connessa con la proteina di interesse.

Tratto da BIOLOGIA MOLECOLARE di Domenico Azarnia Tehran
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