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Il contrasto delle enunciazioni nel testo filmico

Il contrasto delle enunciazioni nel testo filmico



I nostri brani, soprattutto quello godardiano, tendono a contrapporre una buona interpellazione a una cattiva, una ragione ad un torto, una verità ad una menzogna. Una tale tensione pare rivelare il contrasto all’interno dello stesso testo di due diverse enunciazioni, che si contendono il campo e cercano di prevalere; è ben vero che questo ci riporta al farsi e al darsi del film, e cioè il punto di vista, opera sempre al plurale: è ovvio pensare ad una pluralità di momenti filmati e di condizioni di ripresa, e dunque ad un accavallarsi di punti di vista, anche se coordinabili in un progetto complessivo; tuttavia, nei nostri esempi la linea di divisione tra le diverse marche enunciazionali è collocata sul terreno particolare della giustezza della traccia.
La domanda che allora avanza è a quale titolo un dato confessa meglio il farsi e il darsi del film, o in che modo una presenza condensa proprio in sé il disegno globale, o lungo che via una figurativizzazione arriva a garantire un’autenticità; insomma, quale tra i punti di vista ha diritto ad imporsi.
Ci soffermeremo su di un doppio snodo: interrogheremo le funzioni, soprattutto cognitive, che le marche dell’enunciazione sono chiamate ad assumere, e esploreremo meglio il problema della loro figurativizzazione; dettagliando certi contorni del nostro quadro fino a qui rimasti in ombra e rispondendo alle domande che sono venute alla ribalta, ci serviremo di una nuova coppia di esempi.
Il primo è costituito da una semplice presenza: la voce che recita i titoli di coda de L’orgoglio degli Ambersons e che conclude l’elenco precisando “My name is Orson Welles”.
In quest’interpellazione che si fa appellazione, c’è indubbiamente l’affacciarsi sulla scena di un autore conscio dei propri diritti e delle proprie responsabilità, ma c’è anche la consapevolezza delle manovre che comunque attraversano un film e dei risvolti che esse posseggono.
Sul versante dell’enunciatore l’apparizione di un nome equivale ad una dichiarazione di identità: quest’esibizione di un certificato anagrafico comporta un’uscita allo scoperto dei tratti che caratterizzano il principio alla base del testo, ovvero un’uscita allo scoperto e una loro precisa locazione. Il risultato è che un elemento in scena può assumere la funzione di informatore: colui che prende la parola – un narratore –, al pari di chi egli dichiara di rappresentare – appunto, un enunciatore –, diventa allora la fonte diretta delle conoscenze e il regolatore immediato della loro circolazione.
La posizione di presentatore permette al personaggio-Welles di padroneggiare idealmente i comportamenti degli altri personaggi, al punto di poter affidare ad un supplente il compito di chiarire la morale della favola: a Lucy Morgan, vero informatore vicario, là dove racconta al padre la leggenda del capo indiano Vendonah, e spiega grazie ad essa il significato dell’intera vicenda; qui non è certo il caso di analizzare in dettaglio l’autentica cascata di nomi che punteggia gli Ambersons, né è il caso di insistere sulla varietà di forme che, una volta in campo, assume l’informatore, al momento ci basta aver sottolineato la capacità di un discorso filmico di render visibili i disegni cui obbedisce, e insieme l’esistenza di segnali in grado di confermare l’esattezza di una simile resa.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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