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Il punto di vista in Fritz Lang


Questa triplice realtà si istituisce grazie allo stesso meccanismo che sta alla base dell’aspettualizzazione: se è vero infatti che il punto di vista contrassegna sia il formarsi sia l’offrirsi sulla scena, è in particolare la capacità di questo punto di vista di prender la scena quale oggetto a sé stante e se stesso quale destinatario esterno che gli permette di articolare i piani della propria attività.
Bisogna aggiungere che accanto ai fenomeni di sintonizzazione dei diversi livelli, esistono anche delle forme di scontro, che portano ad esempio a negare sul piano percettivo ciò che viene invece affermato sul piano informazionale o epistemico.
È appunto quanto appare nel nostro esempio: essa non è una soggettiva perché lo sguardo che inquadra la merce nella vetrina non è quello dell’uomo o della donna in campo, ma potrebbe esserlo perché il modo di acquisire i dati e lo statuto loro assegnato ripropone il vissuto e la provvisorietà dei due personaggi: insomma questa inquadratura d’avvio non possiede in vedere in soggettiva, ma ne possiede il sapere e il credere. Una tale dissimmetria è più diffusa di quanto non sembri: magari in forma più sfumata, ritorna in parecchie occasioni; la ritroviamo in particolare in ogni volta che si scontrano le paure di un coinvolgimento e il piacere di un dominio. Il cinema di Lang insiste spesso su questi due poli: quanto al rischio, basta pensare a coloro che pagano per aver lanciato un’occhiata di troppo o a coloro che si fanno conquistare da qualcosa che hanno osservato; quanto alla potenza, basta pensare invece a quelli che usano lo sguardo per dominare il mondo – come i Mabuse –.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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