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Il ruolo dello spetttaore del film

Il ruolo dello spetttaore del film



Detto meglio, colui cui il film si indirizza
- da un lato rappresenta un riscontro necessario rispetto alla versione dei fatti offerta – una versione costantemente in attesa di conferme e di completamenti –,
- dall’altro lato funge da spunto e da vaglio dell’intera operazione – un’operazione sub iudice finché la manipolazione non si scioglie nella persuasione –: insomma il film ha comunque bisogno dello spettatore, sia perché i suoi dati vanno completati, sia perché la sua avanzata va costantemente motivata e accolta.
È soprattutto il secondo aspetto ad essere cruciale: c’è dunque una capacità da parte del narratario a livello della diegesi e da parte dell’enunciatario a livello della messa in scena complessiva di farsi direttamente carico di un mandato e di una sanzione. L’opera aperta, nel suo totale sbilanciamento verso un tu, se permette al narratario e all’enunciatario di ricoprire una funzione attiva, ne trasforma anche i profili: essi infatti, diventando contraenti di un patto e garanti di un riconoscimento, assumono una posizione tipica del destinatore più che del destinatario; lo si vede bene nella sanzione: nel momento in cui l’enunciatario o il narratario iscrivono la prova dell’enunciatore o del narratore nel loro campo assiologico essi emettono un giudizio di idoneità, decidono una data mossa, dicono di accettare quanto è loro offerto. Del resto, quando sono implicati in una sanzione, anche l’enunciatore e il narratore cambiano parte dei loro connotati e diventano dei destinatari: la valutazione infatti è sempre introdotta da una interpretazione(così come è seguita da una retribuzione).
Insomma, c’è una recettività in chi si pronuncia, e c’è un pronunciarsi in chi apre gli occhi e tende le orecchie. Questa reversibilità di abitudini si era già presentata all’inizio della nostra analisi, là dove avevamo visto il soggetto dell’enunciazione andar incontro a una schizia, e il tu nascere da una proiezione dell’io; ora ne scorgiamo fino in fondo l’ampiezza, sorprendendo l’enunciatore trasformarsi da destinatore a destinatario, e l’enunciatario passare da semplice punto d’osservazione e d’ascolto a possibile fonte di un’immagine o di una parola.
Lo spettatore si rivela dunque come un ruolo assai stratificato, la cui funzione di fondo è quella di scandire l’avanzamento del testo, di illuminarne gli interstizi, di chiuderne le evoluzioni, ma i cui tratti si disperdono su più livelli e più occasioni; lo abbiamo infatti muoversi in almeno tre momenti cruciali:
- in quanto antisoggetto.
È colui che arriva a costruire una propria versione dei fatti a partire da quanto gli viene offerto: un operatore (pragmatico e cognitivo) che in campo o dietro le quinte filtra e ristruttura i dati della messa in scena.
- in quanto protagonista dell’interpretazione.
È colui che evidenzia delle capacità di osservazione e di ascolto, a chiunque appartengono e dovunque si esprimano: un operatore che converte delle intenzioni – un voler dire – in istruzioni – un dover fare –.
- in quanto giudice implicato in una valutazione – e in una retribuzione –.
È colui che soppesa le diverse prove eseguite, riportandole ai diversi mandati d’origine e definendone l’adeguatezza e la conformità e che su questa base emette un verdetto e assegna dei premi e delle pene: un operatore cui tocca riconoscere quanto viene detto, in un raddoppiamento delle mosse che è garanzia della loro qualità.
Lo spettatore disegnato dal film è tutto questo: il suggerimento di una possibile controproposta, il ricostruttore di una versione di partenza, e il controllore e il garante di un dire.
Tuttavia, per quanto lo spettatore abbia, istituzionalmente, l’ultima parola, c’è qualcosa che gli sfugge; anzi, c’è qualcosa che scappa alla logica stessa del gioco, chiunque vi partecipi, e bastano pochi passaggi dei film esaminati per confermarcelo:
- nel flashback del film di Hitchcock, Eve vede più di quanto Jonathan le racconti, ma non vede l’essenziale;
- nel film di Antonioni, sia il detective sia Paola e Guido vedono anche quello che non c’è, ma, soprattutto i secondi, non ne traggono alcuna conseguenza;
- nel film di Welles, tanto il News on the march che il diario di Thatcher ricordano o mostrano la slitta il cui nome costituisce il segreto di Kane, ma senza darlo ad intendere.
Insomma, questi film sono pieni più di quanto non sembra di narratari sbadati o insoddisfatti, che smarriscono il bandolo della matassa, e di enunciatari ridicolizzati, che si vedono sottratta la meta; ma anche di narratori inconsapevoli, che ripetono delle cose per loro prive di senso, e di enunciatori malaccorti, che si servono anche delle incongruenze.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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