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L'importanza della soggettiva nel cinema

L'importanza della soggettiva nel cinema



Ma al di là di Lang, è il cinema nel suo complesso che tematizza volentieri queste due situazioni: si pensi al documentario, con l’emozione che nasce dall’essere presenti agli eventi; alla commedia drammatica, con la condizione di ospite indiscreto in cui si è messi; al film d’avventura, con il brivido che dà il vivere direttamente l’impresa; all’hard core, con il voyeurismo su cui gioca; ecc. Ora, è proprio la soggettività che più di ogni altra configurazione fa lievitare simili possibilità: basta ricordare la paura da un lato, e l’esaltazione dall’altro, che nel cinema di fantascienza o nel cinema del terrore accompagnano le inquadrature viste dall’alieno o dal mostro1: appunto, la paura di essere col mostro, e l’esaltazione di essere il mostro.
È insomma la soggettiva che accende ed annoda gli estremi. Per rendere questa situazione più distesa – o anche più diffusa – si può allora operare uno spostamento di livelli: non impegnando direttamente lo sguardo dei personaggi in scena, e ancorare a loro solo il sapere e il credere. È questa appunto la situazione proposta da Fury (ove più che di soggettiva si può parlare di procedure di soggettivizzazione): certo un compromesso, nel senso in cui costituiscono un compromesso tutti gli atti mancati; e certo una mossa transitoria, visto che un attimo dopo l’immagine riprodurrà proprio la visione dei due; ma anche un’indicazione preziosa su come far si che una vicenda sia vista da fuori e vissuta da dentro.
Possiamo considerare almeno provvisoriamente chiusa la serie di questioni che abbiamo via via affrontato. Siamo partiti ponendoci il problema dei diversi posti che viene occupando lo spettatore voluto dal film: posti determinati innanzitutto dal tipo di rapporto che l’enunciatario intrattiene con l’enunciatore e con l’enunciato. Ripercorrendo le relazioni possibili, son state individuate quattro configurazioni testuali ricorrenti, ciascuna con un quadro pragmatico da proporre ed insieme con delle regole sintattiche da rispettare. Mettendo soprattutto in luce la crucialità del processo di aspettualizzazione: c’è un occhio ideale pronto a ripercorrere sia quanto è rappresentato, sia l’atto della sua rappresentazione, e ad evidenziare appunto ora questo ora l’altro aspetto. Un tale processo ha suggerito che il tu istituito dal film non è solo l’antagonista di chi muove il gioco, ma ne è anche la continuazione (il punto in cui l’enunciatore può vedersi vedere) e il complemento (il punto in cui il farsi del testo si chiude in un darsi). Così come ci ha suggerito che la posizione dello spettatore dipende si dal sistema di rapporti tra i diversi elementi costitutivi, ma a partire da qui si traduce anche in un concreto collocarsi rispetto e dentro lo spazio della scena. A fianco di queste considerazioni, infine abbiamo esplorato altri due problemi:
- il punto di vista: nel termine sono apparsi confluire non solo il punto di vista da cui si guarda, il punto a cui si mostra e il punto che si vede, ma anche un percepire, un sapere e un credere;
- le funzioni svolte dalle quattro configurazioni canoniche: oltre ad articolare la superficie del testo, esse arrivano spesso a servire da guida del film, individuandone le misure e gli indirizzi complessivi.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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