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La soggettiva di El - L. Bunuel -



Innanzitutto, notiamo emergere e poi rientrare la segnalazione del farsi e specialmente del darsi del film: se in occasione della soggettiva l’occhiata di Francisco mostra che le immagini e i suoni hanno una destinazione, e iscrive questa destinazione in quanto è destinato, il campo/controcampo e il carrello all’indietro riportano lo scorgere e l’intendere a gesti impliciti o li attribuiscono al cinema nella sua generalità.
Ciò significa che i ruoli enunciazionali dapprima si manifestano in tutta la loro pienezza – “c’è chi vede con te, e tu lo vedi vedere” –, poi si dispongono ai margini, a operare in perfetto silenzio – “non c’è più chi vede per te, e il veder tuo non si vede” –; il suggerimento più immediato è che la sequenza d’apertura del film di Bunuel ci consegna è che la soggettiva – come l’interpellazione, di cui è per molti aspetti l’inverso1 – è una costruzione efficace ma delicata: essa fa lievitare i ritmi del commento, ma nello stesso tempo si rivela indifesa di fronte al racconto.
Il fatto è che la soggettiva porta con sé uno sguardo senza una vera intenzione: chi sullo schermo vede, magari con tutte le esitazioni e le fatiche che un simile atto comporta, non è effettivamente messo in grado di scegliere dove dirigere la propria occhiata; coglie in fondo soltanto quanto il suo controcampo gli mostra, dispiegando così la sua azione in un faccia a faccia obbligato; appunto, più che guardare, egli è fatto vedere.
Il fallimento di certe esperienze di soggettiva totale è al proposito assai indicativo: la simulazione perfetta dell’esperienza percettiva del destinatario consente al film di dare fino in fondo il proprio darsi, ma gli impedisce anche di distendersi su quanto sta narrando, poiché ancora il mondo rappresentato a un punto di vista troppo esclusivo, che ne limita l’estensione naturale e ne mette in forse la stessa dominabilità.
Tuttavia, la soggettiva ha un’indubbia utilità: porta il quadro a modellarsi in rapporto a uno sguardo esplicito, anche se poi equipara quest’ultimo ad un’azione tra le altre – consente cioè di mettere in campo un osservatore, anche se provvisorio –; ecco allora che lo spazio della scena si anime: diventa il luogo della rappresentazione, prima di ritornare ad essere un luogo semplicemente rappresentato – si fa dimora del punto di vista prima di farlo circolare nella diegesi.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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