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‘Niente è senza perché’? L’exemplum in contrarium di Angelo Silesio

Ma, come Heidegger ci fa notare, un contemporaneo di Leibniz, Johannes Scheffler, alias Angelo Silesio, fornisce l’exemplum in contrarium che sembra inficiare la validità del principio di ragione. Il celebre distico n 289 dal titolo Ohne Warum («Senza perché») del primo libro del Pellegrino cherubico, che Heidegger ricorda e commenta, recita infatti così:

Die Ros ist ohne warum; sie blühet, weil sie blühet,
Sie acht nicht ihrer selbst, fragt nicht, ob man sie siehet.
(La rosa è senza perché; fiorisce poiché fiorisce,
di sé non gliene cale, non chiede d’esser vista).


«La rosa è senza perché» è in evidente contraddizione con la tesi del fondamento espressa secondo la formula «niente è senza perché», ma il «poiché» (weil) della seconda parte del primo verso, «fiorisce poiché fiorisce», evoca il fondamento, nomina una relazione con esso. Mentre la prima parte del primo verso nega il sussistere del fondamento, la seconda parte lo afferma. Si è entrati in una ulteriore contraddizione che viene sciolta solo dal secondo verso del detto: «di sé non gliene cale, non chiede d’esser vista». La prima parte spiega che la rosa è rosa senza che debba prestare attenzione a se stessa, né al suo fondamento. Silesio quindi non nega che il fiorire della rosa abbia un fondamento, ma afferma semplicemente che essa non se ne cura. In questo la rosa, o qualsiasi altro ente che fiorisce, cresce, si sviluppa nel mondo vegetale, differisce dall’uomo. Il modo in cui l’uomo si comporta in rapporto al suo fondamento viene in luce nella seconda parte del verso: «l’uomo – spiega Heidegger – vive spesso guardando agli effetti che produce nel proprio mondo, a ciò che il mondo ritiene di lui e pretende da lui. Ma anche laddove un tale guardare interessato viene meno, noi uomini non possiamo essere ciò che siamo senza prestare attenzione al mondo che ci determina, dal momento che nel prestare attenzione al mondo prestiamo attenzione a noi stessi»1.
Dunque, nel caso della rosa e di tutto ciò che esiste nel modo in cui esiste la rosa, l’imposizione del principium reddendae rationis, la pretesa del fondamento ad essere fornito, non vale: la rosa, infatti, non guarda intorno a sé alla ricerca delle ragioni, dei fondamenti del suo fiorire. «Il fondamento per cui la rosa fiorisce non ha, nei suoi confronti, il carattere di pretesa che esige dalla rosa e per la rosa la fornitura del fondamento. […]. Il suo fiorire è un semplice “schiudersi da sé”». Eppure anch’essa non è mai senza fondamento, anch’essa, nella misura in cui «è qualcosa», non può mai sottrarsi al dominio del principium reddendae rationis. «Tale principio vale infatti nella misura in cui la rosa diviene oggetto del nostro rappresentare e noi quindi pretendiamo di essere informati sul modo in cui essa può essere ciò che è, vale a dire in base a quali fondamenti, a quali cause e a quali condizioni». La rosa, dunque, resta in relazione con il fondamento, ma in un modo del tutto diverso rispetto all’uomo: solo l’uomo è un essere vivente in grado di portare davanti a sé, nelle sue rappresentazioni, il fondamento in quanto fondamento. La rosa non può e non se ne cura.

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