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I delitti in materia di dichiarazione fiscale: le ipotesi fraudolente


I delitti concernenti le dichiarazioni vanno distinti a seconda che la condotta tipica sia caratterizzata o meno dalla frode.
Ciò implica la necessità di individuare i connotati che la condotta deve possedere potersi definire fraudolenta.
Va subito detto che la legge delega per la riforma dei reati tributari, del la quale il decreto 74/2000 costituisce attuazione, si ispira ad una concezione rigorosamente oggettiva di frode fiscale, prevedendo che le dichiarazioni fraudolente siano fondate “su documentazione falsa ovvero su altri artifici idonei a fornire una falsa rappresentazione contabile”.
Il legislatore delegato è rimasto fedele a tale impostazione configurando due fattispecie di dichiarazione fraudolenta, entrambe punite da un anno e sei mesi a sei anni: una, perpetrata mediante l’utilizzazione di false fatture o altri documenti idonei a comprovare passività in tutto o in parte inesistenti; l’altra, commessa facendo ricorso a mezzi più genericamente fraudolenti, capaci di sopportare le falsità contabili precedentemente realizzate.
Ad evitare, poi, una eccessiva severità del sistema, il legislatore ha sentito l’esigenza di creare un’autonoma fattispecie meno grave (con pena da sei mesi a due anni di reclusione) che scatta quando l’ammontare degli elementi passivi fittizi artatamente documentati è inferiore a 300 milioni di lire.
Il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante artifici diversi dall’uso di false fatture richiede un duplice requisito: che l’evasione sia superiore a centocinquanta milioni di lire; che le componenti attive sottratte alla tassazione siano di importo superiore al 5% dell’ammontare complessivo delle attività dichiarate.

Tratto da CONCETTI SUL DIRITTO TRIBUTARIO E SULL'IVA di Stefano Civitelli
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