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Le principali tesi sul principio di capacità contributiva

Le principali tesi sul  principio di capacità contributiva

Sussiste il proliferare di tesi diverse:
1. un primo indirizzo ha attribuito alla nozione in esame un contenuto assai riduttivo, in essa ravvisando la mera proiezione e specificazione sul piano impositivo del principio di ragionevolezza immanente all’articolo 3 cost.; talché l’articolo 53 cost. non determinerebbe per il legislatore alcun vincolo se non sotto il profilo del divieto della arbitrarietà in punto di scelte.
A tale indirizzo si è uniformata la più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale;
2. un’altra corrente di pensiero, influenzata da concezioni vicine alla scienza delle finanze, ha identificato la capacità contributiva nel godimento dei servizi indivisibili, salvo a riconoscere che gli unici strumenti di rilevazione e di misurazione di quest’ultimo sono rappresentati dalle molteplici manifestazioni di ricchezza del contribuente;
3. ulteriore e più proficuo contributo alla puntualizzazione del concetto di capacità contributiva è venuto da quella parte della dottrina che ha in essa individuato il fondamento costituzionale (e quindi il legittimo titolo giustificativo) del potere di imposizione, ossia l’indefettibile presupposto al quale deve risultare collegato il prelievo, e, conseguentemente, il limite oltre che il passaggio necessario del medesimo.
In via di maggior approfondimento del concetto in questione, tale dottrina, nel mentre ha posto l’accento sul dato per cui il substrato materiale della capacità contributiva è immancabilmente costituito da una forza economica, ha tuttavia espresso l’avviso che la prima non si identifichi integralmente con la seconda ma si caratterizzi per la presenza di specifici connotati desunti dal contesto del nostro sistema costituzionale, e idonei ad attribuire alla capacità o forza economica un profilo di particolare qualificazione.
Vi è chi ha ritenuto che siffatta qualificazione derivi dal necessario coordinamento dell’articolo 53 cost. con il principio concretantesi nella tutela accordata all’iniziativa economica privata in punto di limiti al potere pubblico di espropriazione dei beni privati.
Più precisamente si è sostenuto che il prelievo tributario deve essere disciplinato in modo tale da non incidere sulle fonti di produzione di ricchezza, e quindi da non intaccare la consistenza originaria dei relativi cespiti.
Altri, hanno criticato la dottrina sopra ricordata perché essa si è collocata in un ottica prevalentemente se non esclusivamente garantista.
Invero, si è rilevato che il concetto di capacità contributiva deve essere posto in stretto collegamento con il principio di solidarietà, assurgendo a strumento per la sua applicazione in campo tributario.
Da questa impostazione si è fatto coerentemente di scindere un duplice e concatenato ordine di conseguenze.
Il primo attiene alla necessità di identificare la capacità contributiva e non in una mera e qualsivoglia forza economica, richiedendosi invece e addirittura che debba essere assoggettata a tassazione la ricchezza complessiva del soggetto sul quale viene ad appuntarsi il dovere di concorrere alle spese pubbliche.
Il secondo ordine di conseguenze è che il collegamento del principio di capacità contributiva con gli altri precetti della Costituzione postulerebbe la necessità di escludere dal prelievo tutte quelle situazioni che, pur essendo espressione di forza economica, risultino tuttavia oggetto di tutela e garanzia ad opera di singole norme costituzionali.

Tratto da CONCETTI SUL DIRITTO TRIBUTARIO E SULL'IVA di Stefano Civitelli
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