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Norme tributarie: il c.d. federalismo fiscale


Con la riforma Minghetti del 1865 la disciplina della finanza locale si ispirò ad un criterio di sostanziale separazione dalla finanza statale.
Peraltro, il principio di separazione finì per essere sensibilmente attenuato a seguito dell’assunzione a base fondamentale del sistema di finanza locale di due tributi che non avevano di certo le caratteristiche di tributi autonomi, vale a dire i dazi sui consumi interni e le sovrimposte sui tributi diretti erariali.
A tale impostazione fece seguito un’esplicazione concreta della potestà impositiva da parte degli enti locali caratterizzata dalla provvisorietà e dalla mancanza di un disegno unitario, rispondendo le varie scelte ad esigenze di cassa o comunque a valutazioni estemporanee.
Il quadro di insieme della finanza locale rimase sostanzialmente immutato fino alla riforma tributaria degli anni ’70, la quale incise in senso pesantemente riduttivo sulla potestà suddetta, preferendosi in occasione di essa devolvere a tali enti quote di tributi erariali o l’intero gettito di alcuni di questi ultimi, salva soltanto la facoltà degli enti medesimi di intervenire sulla manovra delle aliquote.
Una effettiva inversione di tendenza non si è verificata neppure a seguito della legislazione degli anni ’90.
Da ultimo, non si può fare a meno di rilevare come una situazione di così mancato svilimento dell’autonomia degli enti locali sul versante finanziario mal si collocasse con l’articolo 5 cost., il quale costituisce l’espressione inequivocabile della volontà del costituente di attribuire agli stessi un consistente ruolo operativo nel contesto dell’organizzazione statuale.

Tratto da CONCETTI SUL DIRITTO TRIBUTARIO E SULL'IVA di Stefano Civitelli
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