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Rilevanza dell’organizzazione d’impresa nella definizione del reddito d'impresa


Vi è un’ipotesi in cui è proprio la forma organizzativa, ossia l’organizzazione in forma di impresa, che attribuisce ad un soggetto la qualifica di imprenditore, sebbene l’attività svolta non sia commerciale secondo il codice civile.
Sono infatti redditi di impresa “i redditi derivanti dall’esercizio di attività organizzate in forma di impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’art. 2195 c.c.”.
Poiché l’art. 2195 c.c. definisce “commerciale” l’attività “industriale” di “produzione” di servizi, abbiamo, in materia di servizi, la seguente tripartizione:
1. la “produzione” di servizi genera reddito di impresa anche se non organizzata in forma di impresa;
2. la “prestazione” di servizi genera redditi di impresa solo se organizzata in forma d’impresa;
3. la prestazione di servizi non organizzata in forma d’impresa, è attività di lavoro autonomo.
Ora, il discrimine tra impresa e lavoro autonomo è dato dalla presenza o meno di un’organizzazione “in forma di impresa”.
Si ritiene generalmente che, nelle professioni intellettuali, la presenza di un organizzazione, anche complessa, non vale a qualificare l’attività come impresa, perché l’organizzazione ha un ruolo servente rispetto all’apporto intellettuale del professionista; e poiché, per i redditi di lavoro autonomo, il dato legislativo che caratterizza la categoria è il tipo di attività esercitata, indipendentemente dall’organizzazione, i redditi professionali sono redditi di lavoro autonomo anche se svolti con un’organizzazione simile a quella delle imprese.

Tratto da CONCETTI SUL DIRITTO TRIBUTARIO E SULL'IVA di Stefano Civitelli
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