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Dinamiche dello Stato e ambiguità spirituale dei rifugiati cambogiani negli USA


Il rifugiato è stata una delle figure più scottanti della fine del XX secolo, ma poca attenzione è stata posta allo studio delle loro esperienze di dislocamento, regolamentazione e inserimento all’estero. Si presta invece molta più attenzione alla minaccia che essi sembrano costituire per lo stato-nazione.
Diversi organismi statali e diverse associazioni private concorrono nel facilitare questa sorta di transizione, allo scopo di trasformare i soggetti rifugiati, percepiti come indolenti e sospetti, in cittadini normalizzati in grado di integrarsi ragionevolmente nella società ospitante.
L’imperativo morale di offrire asilo ai rifugiati è stata una caratteristica della politica degli Stati Uniti fin dal 1945— e, contemporaneamente una rottura rispetto alle politiche precedenti che privilegiavano la razza, la lingua e l’assimilazione rispetto alla preoccupazione per le sofferenze umane. Dal 1945 l’ascesa americana a potenza globale ha costretto il Congresso ad abbandonare le politiche isolazionistiche.
Nel 1979, dopo l’invasione vietnamita della Cambogia, centinaia di migliaia di cambogiani fuggirono verso il confine thailandese. Il momento del loro arrivo negli Stati Uniti, insieme agli impliciti pregiudizi culturali e razziali contro gli asiatici, rese più ambigua la loro accoglienza.

Tratto da DA RIFUGIATI A CITTADINI di Anna Bosetti
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