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Gli Stati Uniti e il governo della povertà

Gli Stati Uniti e il governo della povertà


Le politiche e le pratiche tendenti a normalizzare l’anormale, allo scopo di assimilare in modo sicuro il razzialmente altro nell’economia morale del capitalismo americano, sono andate di pari passo con la politica morale dell’assistenza ai poveri.
La posizione sociale all’interno della nazione viene definita sulla base di due valori americani fondamentali, storicamente acquisiti: il voto e il guadagnarsi da sé il proprio reddito. Una volta ottenuto da parte delle donne e delle minoranze il diritto di voto, la fonte primaria di rispetto e prestigio pubblici diventa il diritto sociale di lavorare e di essere pagati. Dalla prospettiva di coloro che sono stati storicamente esclusi – minoranze razziali, donne e immigrati — la lotta per la cittadinanza americana è stata indiscutibilmente più una richiesta di inclusione nello stato, uno sforzo di abbattere le barriere che ostacolavano il riconoscimento, che non un’aspirazione alla partecipazione civica.
Nell’America del XX secolo questa costruzione morale della cittadinanza fu messa ampiamente in discussione dal welfare state quando i discorsi tradizionali sulla povertà, sul lavoro e sulla cittadinanza in base al merito si scontrarono con le idee riguardanti i poveri meritevoli e le rivendicazioni del diritto di ricevere aiuti statali.
Negli anni Ottanta del Novecento, gli studiosi marxisti hanno messo in evidenza la contraddizione tra la cittadinanza democratica e le disuguaglianze sociali che esistono nella società, ovvero il divario crescente tra i diritti universali astratti e le disuguaglianze reali generate dalla competizione del mercato, dalle differenze razziali e dall’immigrazione.
All’inizio degli anni Ottanta, l’arrivo dei rifugiati del Sudest asiatico fece sì che i mass media, specialmente in California, affinassero il concetto di minoranza-modello in base alla razza e alla classe. Giornalisti e responsabili politici giunsero, infatti, a distinguere due categorie di asiatici-americani: da una parte, la minoranza-modello degli immigranti di etnia cinese di Hong Kong, Taiwan e Cina, e con loro gli immigranti vietnamiti; dall’altra, la “nuova underclass”, rappresentata, secondo loro, dai rifugiati della Cambogia e del Laos; cosicché gli immigrati asiatici potevano essere assegnati concettualmente a categorie di minoranze più o meno meritevoli.

Tratto da DA RIFUGIATI A CITTADINI di Anna Bosetti
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