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La nozione di fonte consuetudinaria


Nel vigente sistema italiano, la consuetudine occupa, invero, una posizione ridotta.
Infatti, la sua efficacia “nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti” è limitata alle ipotesi in cui essa sia oggetto di specifico rinvio, di modo che la consuetudine possederebbe un’autonoma forza normativa solo fuori dalle materie disciplinate dal diritto scritto.
Il problema che allora si pone è quello di sapere quando una materia possa dirsi non regolata “dalle leggi e dai regolamenti”.
E’ sufficiente che una materia sia sottoposta ad una disciplina legislativa o regolamentare per qualche parte lacunosa per autorizzare un intervento integrativo della consuetudine, ovvero è necessario che si sia in presenza di una vera e propria “anomia” legislativa?
La Corte costituzionale sembra aver seguito la prima impostazione.
In verità da un’analisi esegetica dell’art. 8 prel. c.c. sembrerebbe doversi sostenere la seconda delle soluzioni sopra prospettate, in quanto, da un lato, potendo una disciplina, provenente dal diritto scritto, ricavarsi a mezzo dell’analogia; dall’altro, in quanto questa appare la sola spiegazione plausibile della disposizione in esame.
D’altra parte, a favore dell’opposta concezione stanno due importanti rilievi: il primo è che se è vero che l’ordinamento ha la pretesa di completezza e se è inerente ai moderni sistemi a diritto scritto, la presenza di meccanismi di auto-integrazione atti a prevenire le lacune, non si vede perché la consuetudine non possa essere un ottimo strumenti in tal senso; il secondo è che, nella realtà storica e in quella di tutti i giorni, la consuetudine nelle sue varie forme tende ad occupare i vuoti del sistema normativo scritto.
Da quanto sin qui detto risulta dunque che si possono astrattamente dare quattro tipi di consuetudini:
a. quelle richiamate dal diritto scritto, alle quali si finirà col riconoscere il valore che la fonte richiamante assegna loro;
b. quelle operanti praeter legem, in quei limitati settori in cui, pur non essendovi norme scritte, vi sia la convinzione che i relativi rapporti siano giuridicamente rilevanti; in tal caso la consuetudine avrà valore di fonte autonoma del diritto, cedevole peraltro rispetto al diritto scritto, che può in qualsiasi momento, disciplinando la materia, estrometterla da quei settori;
c. quelle operanti in settori disciplinati da norme scritte e dirette a colmarne le lacune: anche di esse dovrà predicarsi la subordinazione al diritto scritto (salvo per la loro affermata capacità di operare, secondo una delle ricostruzioni proposte, al di là dei limiti dell’art. 8 prel. c.c.);
d. quelle operanti in materie disciplinate dal diritto scritto in modo incompatibile con questo: in termini giuridico formali, tali consuetudini dovrebbero ritenersi, più che inefficaci, inesistenti, e di esse l’operatore giuridico non dovrebbe fare alcuna applicazione.
Peraltro, nella misura in cui esse si affermino precludendo ed impedendo l’applicazione delle contrarie regole di diritto scritto, ricevendo applicazione anche in sede giurisdizionale, finiranno con l’avere in fatto valore uguale o maggiore di quello delle fonti scritte.

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