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La struttura della fonte consuetudinaria


La struttura della consuetudine consta di due elementi: una ripetizione più o meno prolungata nel tempo di comportamenti e la convinzione che essi corrispondano ad una norma giuridica.
Il primo elemento deve naturalmente valutarsi a seconda delle circostanze, di fatto in relazione alle quali quei comportamenti si determinano, e del tipo di norma che in tal modo viene prodotta.
Ma è l’elemento psicologico che consente di qualificare comportamenti più o meno frequenti come consuetudini.
Tale elemento va riguardato sia dalla parte dell’agente sia, soprattutto per le consuetudini facoltizzanti o attributive di poteri, dalla parte dei soggetti coinvolti dall’esercizio delle facoltà o dei poteri e, in genere, dei consociati che non ne contestino, con i mezzi a loro disposizione, l’esistenza.
Tenendo conto di questo rilievo e della capacità della norma consuetudinaria di affermarsi per forza propria, si può concludere che le vicende della consuetudine non devono impostarsi sul terreno formale delle disposizioni sulla produzione normativa, ma su quello sostanziale dell’effettività.
Ciò è chiarissimo per quanto riguarda i rapporti tra le consuetudini stesse, per cui appare difficile parlare di abrogazione di una consuetudine ad opera di una successiva, quanto piuttosto di una sua trasformazione, ed è ancora chiaro per quanto riguarda la desuetudine, qualificandosi questo fenomeno, non già come consuetudine contraria, ma come cessazione, per mancata ripetizione del comportamento materiale, della norma consuetudinaria.
Ciò che invece va maggiormente approfondito è il rapporto tra la consuetudine e le fonti-atto: sul terreno formale la sopravvivenza di un atto normativo dovrebbe infatti determinare l’abrogazione o l’estinzione della prima a prescindere dal suo contenuto, ma come accennato ciò può anche non avvenire se da parte degli operatori giuridici, e particolarmente dei giudici, si continua ad applicare la consuetudine e non la norma scritta.

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