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Procedimento di conferimento di beni in natura

Il procedimento di conferimento del bene in natura è una regola che esiste da molto tempo nel nostro diritto.
L’idea di fondo è che per il conferimento in natura l’acquisizione da parte della società deve essere istantaneo al momento dell’atto di trasferimento e riguarda il valore intero del bene conferito. La liberazione delle azioni corrispondente al conferimento dei beni in natura sono liberate nel momento in cui viene fatto il trasferimento.

La legge prevede che l’effettività del conferimento è assicurata da regole prudenziali che si pongono a due livelli:
- 1 livello : valutazione asseverata da parte di un soggetto dotato di professionalità specifica. La nomina è fatta dal presidente del tribunale. Nelle srl è lo stesso conferente che può scegliere il soggetto che fa la perizia.
- 2 livello : il controllo della 1° valutazione deve essere fatta dagli amministratori (un tempo anche dai sindaci). Gli amministratori hanno 6 mesi per farlo. Nella pratica non si aspettano 6 mesi, ma viene fatta una perizia sulla quale gli amministratori fanno una revisione. Se gli amministratori non fanno la revisione, le azioni esistono, ma la loro circolazione viene vietata. La legge preferisce questa seconda valutazione. Vale di più la seconda valutazione perché sono gli amministratori immediatamente responsabili per i problemi di finanza che potrebbero conseguire ad un errore nella valutazione del bene.

Questo è molto protettivo per i creditori, ma è più tragico per il conferente. Se la valutazione viene abbassata dagli amministratori, il soggetto per rimanere socio deve versare un conguaglio corrispondente alla quota di capitale sottoscritto, ma poiché questo conguaglio potrebbe essere penalizzante per il conferente, se il livello di conguaglio che deve essere versato eccede il 20% al socio è lasciata l’opzione o di versare il conguaglio o di uscire dalla società nella quale è appena entrato con il conferimento in natura. In passato su questo argomento non si diceva niente, ma valeva solo la regola che se il socio recede ha diritto solo ad una somma di denaro. Oggi quando il socio decide di uscire dalla società ha diritto a riprendersi il bene conferito.
Gli aumenti di capitale con conferimenti in natura solitamente riguardano il conferimento di azienda (art.2343) che produce una sorta di potenziale conflitto tra norme in materia societaria e norme proprie della disciplina d’impresa, ovvero regole di circolazione dell’azienda.


L'articolo 2343 sul conferimento dei beni in natura


L’art.2343 ha un problema che riguarda la responsabilità per l’ipotesi in cui i beni conferiti in natura che hanno un valore inferiore alla cifra per la quale vengono conferiti. In questo caso la responsabilità riguarda il soggetto nominato dal presidente del tribunale che effettua la perizia in relazione alle sue regole di diligenza professionale ed è esposto a responsabilità civile e penale. Accanto al perito la legge, chiedendo agli amministratori di fare una revisione, espone anche gli amministratori a responsabilità. Gli amministratori sono un esempio dei soggetti ai quali si rivolge la tutela risarcitoria (che ha sostituito quella demonitoria). Chi amministra la società è meglio che non ha un patrimonio, visto che è esposto a responsabilità. Spesso se c’è responsabilità degli amministratori, vi è responsabilità di un assicuratore degli amministratori pagato dalla società.
Il socio conferente non è responsabile per le spa, mentre per le srl il socio è responsabile, in quanto ha una maggiore libertà nel conferire (anche se è una cosa ancora da discutere).

L’art.2343 bis riguarda gli ACQUISTI PERICOLOSI : la pratica voleva evitare le lungaggini del procedimento di conferimento, stabilendo che al posto di conferirli, certi beni potevano essere venduti alla società e ottenere da essa danaro o crediti da trasformare in azioni. Questi trucchetti venivano utilizzati frequentemente. In questo mondo si arrivava a risultati vietati dalla legge.

La norma prevede che determinati soggetti molto vicini alla società non possono nei due anni dalla costituzione, vendere beni o crediti alla società entro un tetto di valore del 10% del capitale della società. Se si vogliono compiere queste operazioni, esse devono essere sorrette da una perizia (che deve rimanere depositata), si toglie così il beneficio del tempo, e occorre avere l’autorizzazione dell’assemblea ordinaria. Questo procedimento è lo stesso che caratterizza l’art.2343.
Questa norma è di facilissima elusione, in quanto si applica alle società neonate, perché non si applica più una volta trascorsi i due anni. Poi la norma vieta gli acquisti fatti da alcune persone, ma non di altre persone molto vicine che non sono comprese nella lista ufficiale, quindi basta trovare un soggetto molto amico di coloro che non possono effettuare la vendita alla società, e la norma è così elusa. Un esempio di questo è la capogruppo, che non è madre, ma nonna! Un’altra questione delicata è se la norma vieta soltanto le vendite dei soggetti troppo vicini di beni, o anche altre operazioni simili alla vendite di beni, ma effettivamente diversi, come ad esempio servizi, consulenza, ecc. In questo caso l’interpretazione della norma ci dice che sono solo vietate le vendite di beni e non quelle di servizi.
Quando la norma è stata introdotta nel nostro ordinamento ci si poneva il problema se l’atto compiuto in violazione delle regole fosse nullo o inefficace o responsabilità degli amministratori. La norma ha salvato solo la terza opzione: l’atto rimane valido anche se ha violato la norma, paga colui che ha violato la legge se ha un patrimonio e ne rispondono di fronte alla società e agli eventuali terzi, gli amministratori.

Ci sono delle eccezioni all’applicazione delle regole previste dal 2343 bis, la necessità della perizia e la responsabilità degli amministratori non sono applicabili a determinati acquisti per i quali il legislatore suppone che le caratteristiche dell’acquisto sono tali da non ingenerare rischio, sospetto di abuso, ad esempio per gli acquisti fatti in borsa. in realtà così non è,perché quando però si parla di acquisti effettuati a condizioni normali nell’ambito delle operazioni correnti, si apre un ambito di incertezza totale. È alto il rischio che si invochi un’operazione che la società spesso fa, per non far applicare la norma. E su questo bisogna vedere se si applica la sanzione, e l’unica sanzione possibile è la responsabilità degli amministratori.

L’art2343 ter e quater sono stati introdotti nel 2008 e dettano una disciplina speciale per i conferimenti in natura di valori mobiliari o strumenti finanziari. L’idea di fondo in queste norme è quella di semplificare il meccanismo di conferimenti di quei beni particolari che sono spesso oggetto di conferimenti responsabilizzando esperti o amministratori.
L’art.2343 ter identifica i beni per i quali può valere questo procedimento semplificato, sono i valori mobiliari o strumenti del mercato monetario, se questi sono negoziati in mercati regolamentati non c’è bisogno di procedere ad una stima del conferimento purché si siano conferiti ad una valore pari o inferiore al valore della quotazione media dei semi mesi precedenti. È possibile però effettuare un conferimento in forma semplificata anche per valori mobiliari o crediti che non abbiano una quotazione in un mercato, si fa riferimento allora alla valutazione equa in bilancio che di questi valori mobiliari o crediti può essere data sulla base di una revisione legale a cui il bilancio è assoggettato. Per l’ipotesi in cui l’utente non è soggetto a revisione legale, si può avere un procedimento semplificato, purché vi sia un esperto dotato di professionalità elevata che attesti il valore equo di questi titoli o strumenti con riferimento a una situazione non più vecchia di sei mesi. Chi conferisce sulla base di questi criteri deve giustificare che sussistono le condizioni per il quale il conferimento può essere effettuato in maniera semplificata. Facendo questa attestazione la legge sembra far capire che lo stesso socio conferente è esposto a responsabilità.

L’art.2343 quater prevede delle norme di salvaguardia rispetto alla situazione che potrebbe crearsi in caso di applicazione meramente formalistica della norma precedente: supponiamo che la quotazione media degli ultimi sei mesi sia 100, e che il giorno in cui si conferisce c’è stato un crollo in borsa, e che quindi il valore di mercato è minore di 100, in questo caso non si può applicare secondo questo articolo, l’articolo precedente, ma c’è un dovere per gli amministratori di valutare nei 30 giorni successivi al conferimento se ci sono stati dei fatti successivi che non giustificano il procedimento semplificato. La responsabilità è quindi degli amministratori. Anche in questo caso vale un’osservazione come il 2343, cioè gli amministratori non aspettano i 30 giorni, ma il giorno stesso in cui viene fatto il conferimento al valore medio, valutano direttamente la situazione. Gli amministratori possono anche non approvare il conferimento in forma semplificata se ritengono che sia poco affidabile l’esperto che ha accertato i valori mobiliari di società non quotata o non soggetta a revisione legale. La ragione generale di queste norme è ricondotta al fatto che il sistema si fida del rischio a cui si espongono gli amministratori come strumento per immaginare che siano tenuti comportamenti corretti.
Nei casi in cui gli amministratori non ritengono di dover intervenire per contrastare il conferimento semplificato, essi devono attestare che sussistono tutte le caratteristiche per poter procedere al conferimento semplificato e se ne assumono la responsabilità. Quando invece essi ritengono che non ci siano i presupposti o la non affidabilità dell’esperto allora si ritorna al 2343, ovvero al meccanismo di perizia nominata dal presidente del tribunale.

Tratto da DIRITTO COMMERCIALE DELLE SOCIETÀ di Valentina Minerva
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