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Azione di responsabilità e denuncia la tribunale


Stiamo esaminando la posizione dei soci di Srl, i soci non amministratori, soci con poteri gestori.
Il prof ha cercato di richiamare quelle norme che attribuiscono ai singoli soci ampi poteri di informazione e di consultazione, nonché quella norma (che rappresenta un unicum nel sistema societario) che attribuisce a ciascun socio, qualunque sia la sua partecipazione, la possibilità di promuovere un’azione di responsabilità contro gli amministratori, e quindi di chiedere, nell’interesse della società (perché sarà poi la società ad acquisire l’eventuale risarcimento dei danni), di chiedere innanzi al tribunale che gli amministratori siano condannati a risarcire i danni che avevano causato alla società violando i loro doveri.
Eravamo rimasti più o meno a questo punto con un ulteriore interrogativo: il socio può chiedere la revoca dell’amministratore o degli amministratori? Certamente l’assemblea dei soci, come può nominare gli amministratori può revocarli. Il problema della posizione del socio è più delicato. Azione risarcitoria e revoca degli amministratori si pongono in un’ottica diversa nel senso che l’azione risarcitoria, riguarda il passato, mentre la revoca riguarda il futuro. Detto più chiaramente: l’amministratore che ha compiuto atti di mala gestione, che ha danneggiato il patrimonio della società, se viene condannato a risarcire i danni, ripristina la situazione. Però l’amministratore che ha compiuto atti di mala gestione può magari continuare nel suo atteggiamento, e quindi se l’azione risarcitoria è diretta ad eliminare il danno arrecato nel passato, non garantisce affatto che l’amministratore cambi pelle e si comporti in modo corretto. Quindi laddove ci sia un rischio che l’amministratore continui ad operare come aveva fatto prima, solo la revoca può mettere al sicuro la società da atti di mala gestione.
Il singolo socio come può agire in responsabilità? La risposta che da l’art. 2476 comma 3 è una risposta ambigua.
L’azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio, il quale può altresì chiedere in caso di gravi irregolarità nella gestione della società (quindi irregolarità che siano così gravi da far temere che gli amministratori continuino nella stessa direzione) che sia adottato provvedimento cautelare verso gli amministratori.
Quindi a prima vista, la risposta sembrerebbe essere positiva: ciascun socio può chiedere il risarcimento del danno nell’interesse della società e inoltre, se le irregolarità sono gravi, cioè se quindi vi è un fondato sospetto che l’amministratore non si penta, può chiedere con provvedimento cautelare (quindi con provvedimento immediato) che si impieghi in tempi molto brevi la revoca degli amministratori.
Il problema sembrerebbe risolto: il socio è pienamente tutelato e può agire sui due fronti. Chiedere il risarcimento del danno ma chiedere anche la revoca dell’amministratore, quindi l’allontanamento dell’amministratore che abbia compiuto gravi atti di mala gestione.
Il problema però non è così semplice, perché il legislatore non ha detto con chiarezza: il socio può promuovere l’azione di responsabilità e può promuovere l’azione di revoca per revocare gli amministratori. Questo è un profilo processuale (e chissà che minkia vuol dire..ma..boh!!) non semplice.
Il legislatore dice qualcosa di diverso: dice che il socio può promuovere l’azione di responsabilità se ci sono gravi irregolarità; può chiedere con un provvedimento immediato (quindi è un provvedimento che si inserisce nell’ambito dell’azione di responsabilità) la revoca degli amministratori. Quindi la norma è chiaramente intesa in questo senso, nel senso di dire che l’azione cautelare è un qualche cosa che si inserisce in un’altra azione; è un’azione veloce che si inserisce in un’altra azione. Nell’ambito dell’azione diretta ad ottenere il risarcimento del danno, il socio può inserire questo sub procedimento (questo procedimento interno e veloce) chiedendo la revoca degli amministratori.
Tutto questo significa, almeno stando alla lettera della norma, che la revoca dell’amministratore è un provvedimento cautelare, un provvedimento veloce che può essere richiesto (sembrerebbe) solo all’interno dell’azione di responsabilità. Solo se si promuove un’azione di responsabilità che è all’interno di un’azione di responsabilità, si può chiedere questo provvedimento immediato di revoca.
Il ragionamento del legislatore, stando al dato letterale, sembra essere questo. Il socio che si accorge, magari esercitando i suoi poteri di informazione, di consultazione, che gli amministratori hanno violato i loro doveri, hanno arrecato un danno alla società può agire e quindi può richiedere, a favore della società, la condanna degli amministratori al risarcimento dei danni.
Promossa tale azione, se il socio ritiene che gli atti di mala gestione siano molto gravi, se ritiene che gli amministratori siano dei personaggi che possono poi continuare nella stessa direzione, può chiedere al giudice con un provvedimento immediato, quindi con un provvedimento che nel giro di pochissimo tempo (pochi giorni) può essere ottenuto, chiedendo l’allontanamento degli amministratori.
Tutto ciò proprio nell’ottica di impedire che gli amministratori possano continuare a recare un danno alla società.
Tutto questo ha una sua logica, però tutto questo non funziona se non c’è lo scenario di fondo su cui innestare la richiesta di revoca, che è l’azione di responsabilità.
Attenzione: un’azione di responsabilità può essere promossa solo in presenza di due presupposti:
- La violazione dei doveri; e
- Il danno al patrimonio della società.
Ci sono ipotesi di violazioni di doveri, anche molto gravi, che non arrecano un danno al patrimonio della società; o quanto meno non arrecano un danno immediato, cioè possono pregiudicare in futuro il patrimonio della società. Di fronte a questo comportamento degli amministratori, l’azione di responsabilità non può essere promossa, perché l’azione di responsabilità si concretizza in una richiesta di risarcimento danni in cui ci deve essere un danno attuale da risarcire. Se questo danno attuale da risarcire non c’è, l’azione di responsabilità non può essere promossa.
Se la revoca è un qualche cosa che si inserisce all’interno dell’azione di responsabilità, si può chiedere la revoca dell’amministratore.
Quindi di fronte a un amministratore che violi gravemente i propri doveri (es. che non rediga il bilancio consolidato), laddove non c’è un danno attuale per la società immediatamente risarcibile, i soci si troverebbero sprovvisti di tutela, perché non potrebbero nè agire in responsabilità (e questo va bene perché non c’è un danno attuale), ma non possono neppure chiedere la revoca degli amministratori. Naturalmente, se i soci a maggioranza sono d’accordo possono ottenere la revoca tramite deliberazione assembleare, ma il socio di minoranza non sarebbe in grado di far nulla. Tutto ciò ha portato a due possibili interpretazioni di questa norma che, per vie diverse, raggiungono lo stesso risultato.
Una prima interpretazione è quella che legge in modo un po’ antiletterale la norma e, sostanzialmente la interpreta così: ciascun socio può promuovere l’azione di responsabilità, ciascun socio può chiedere in via immediata le revoca degli amministratori ma, questa richiesta in via immediata non è inserita nell’azione di risarcimento dei danni, è da inserire in un’altra azione di revoca. Quindi ciascun socio può revocare gli amministratori e attraverso un provvedimento immediato, indipendentemente dall’azione di responsabilità attraverso un’azione di revoca. Quindi il legislatore, aldilà della lettera della norma avrebbe inteso prevedere l’azione risarcitoria e l’azione di revoca con la possibilità di un provvedimento immediato e veloce per revocare subito l’amministrazione. Questa tesi è quella oggi prevalente; c’è anche chi interpreta la norma alla lettera ma ritiene che comunque sia possibile un’azione revocatoria e questa ha trovato l’avallo autorevolissimo della stessa Corte Costituzionale.
La conclusione è che il socio di minoranza è veramente in una botte di ferro, perché può chiedere qualunque informazione, vedere qualunque documento, agire in responsabilità contro gli amministratori, chiedere la revoca degli amministratori ed ottenerla in pochissimo tempo.
Ma rimane un  interrogativo piuttosto serio che ha dato luogo a una vicenda processuale piuttosto singolare: tutto bene se esiste una dialettica tra maggioranza e minoranza, tutto bene, andiamo sereni. Ma se così non fosse. Ma se esistesse una sostanziale omogeneità tra amministratore e soci (pochi soci e tutti amministratori), cioè i soci sono conniventi con gli amministratori, cosa succede?
Di fronte a delle situazioni patologiche gravi, laddove ci siano delle disfunzioni o addirittura degli illeciti anche penali e i soci siano conniventi o disinteressati, cosa caspita succede?
Vediamo il panorama che si presenta nella S.p.A. e poi nella S.r.L. e poi andiamo a valutare una recente vicenda processuale, quasi al limite del paradossale, che ha visto coinvolti i massimi organi giudiziari italiani.
Nella S.p.A. troviamo un articolo estremamente importante: l’art. 2409 del C.c.. Tale articolo prevede la denuncia al tribunale di gravi irregolarità da parte degli amministratori.
Denuncia non implica qui profili penali, ma sempre un discorso di tipo civilistica.
Immaginiamo che gli amministratori abbiano gravemente violato i loro doveri (qui non interessa che ci sia un danno attuale o un danno potenziale in quanto quello che interessa è che ci siano gravi violazioni ai loro doveri) ed allora si può mettere in moto un meccanismo che prevede:
- Prima di tutto un’indagine da parte del tribunale per verificare se le gravi irregolarità ci sono;
- In secondo luogo, un “provvedimento soft” e cioè se è sufficiente la convocazione dell’assemblea, perché ad esempio revochi gli amministratori e ne nomini degli altri. Se invece questo provvedimento è ritenuto troppo tenue, è previsto un provvedimento di grandissimo impatto, e cioè
- La revoca da parte del tribunale degli amministratori e la loro sostituzione con un amministratore giudiziario.
L’amministratore giudiziario è un amministratore nominato dal tribunale con un compito preciso, che viene assegnato dal tribunale, che rende conto del suo operato al tribunale e che quindi ha una serie di compiti indicati dal tribunale con l’obiettivo di ripristinare la legalità della situazione.
L’operato dell’amministratore giudiziario può portare, a seconda dei casi, alla convocazione dell’assemblea, alla nomina degli amministratori, quindi il ritorno alla normale vita aziendale oppure se la situazione scappa di mano e non è più sanabile, alla convocazione dell’assemblea per lo scioglimento della società.
Questa possibilità per il tribunale di intervenire nella vita della società con un sistema che ricorda quello del chirurgo, quindi con il bisturi sostituisce un amministratore giudiziario con compiti fissati dal tribunale che rende conto al tribunale del suo operato, è sicuramente uno strumento di grande rilievo in situazioni particolarmente gravi. Ma perché? Perché ovviamente la vita della società, la legalità nell’andamento della società, la legalità nell’operato degli amministratori, non è solo un qualcosa che interessa i soci, ma un qualcosa che interessa la collettività.
La società ha un rilievo collettivo, visto che la società risponde limitatamente per le obbligazioni sociali: bisogna garantire che esiste un patrimonio su cui si possono soddisfare i creditori.
Chi può attivare nella S.p.A. questo meccanismo? Può essere attivato:
- Dai soci di minoranza che raggiungano il 10% ;
- Dal collegio sindacale.
Quindi qui nelle S.p.A. abbiamo un organo necessario (per le S.p.A.) con un preciso compito di vigilanza, che ha questa arma molto forte, cioè di fronte a gravi irregolarità degli amministratori, laddove i richiami verso gli amministratori suonino a vuoto, può procedere con la denuncia al tribunale e chiedere al tribunale di revocare gli amministratori e di sostituirli con l’amministratore giudiziario. Il collegio sindacale può operare anche qualora i soci non si attivino anche qualora non esistano soci di minoranza che facciano sentire la loro voce.
Quindi questo è uno strumento importante che può essere applicato dal collegio sindacale.
Nelle società quotate, può essere attivato questo meccanismo anche dal pubblico ministero.
Con una scelta, che francamente lascia perplessi, il legislatore che ha disciplinato la S.r.L. non ha previsto l’art. 2409; quindi il legislatore non ha previsto questo meccanismo di controllo da parte del tribunale.
Quindi nell’ambito delle S.r.L. non esiste l’art. 2409 ne esiste un richiamo all’art. 2409.
La lacuna non è colmabile, perché non si può trasferire una norma di questo genere da un modello ad un altro. Quindi se una S.r.L. di minori dimensioni, non esistendo il 2409 e non esistendo neppure il collegio sindacale perché è un organo obbligatorio per le S.r.L. di maggiori dimensioni, non esiste questo tipo di tutela.
Per le società di maggiori dimensioni? Qui si è aperto un problema interpretativo interessante, un vero e proprio scontro nella giurisprudenza. Il problema interpretativo è questo: laddove il collegio sindacale sia obbligatorio, si prevede che la disciplina del collegio sindacale sia tendenzialmente quella propria della società per azioni. La differenza più significativa si ha nel fatto che il collegio sindacale nelle S.r.L. ha normalmente il compito sia di controllo sulla gestione sia del controllo legale sui conti. Ma a parte questo, il legislatore richiama la disciplina del collegio sindacale della società per azioni: Il richiamo della disciplina del collegio sindacale della S.p.A. nel disciplinare il collegio sindacale delle S.r.L. comprende anche la norma che attribuisce al collegio sindacale delle S.p.A. la legittimazione a mettere in moto il meccanismo del 2409 (cioè la legittimazione a formulare la denuncia al tribunale)? 
Il legislatore dice al collegio sindacale delle S.r.L., quando presente, si applica la disciplina del collegio sindacale delle S.p.A.. Ma in che cosa consiste la disciplina del collegio sindacale delle S.p.A.? quali sono le norme richiamate? Tra queste è richiamata anche la norma che prevede la legittimazione del collegio sindacale a denunciare le gravi irregolarità al tribunale? Perché il 2409 non è richiamato per le S.r.L.; a queste domande, la dottrina ha dato risposte differenziate. La cosa interessante è invece la posizione della giurisprudenza, che si è trovata di fronte a questo interrogativo: la mancata riproduzione dell’art. 2409 (dettato per la S.p.A. e non presente nell’ambito delle S.r.L.) crea una situazione di disparità di trattamento che può essere censurata sotto il profilo della costituzionalità, violando quindi l’art. 3 della Costituzione sulla parità di trattamento? Alcuni giudici si sono posti il problema sollevando la questione di costituzionalità e la Corte Costituzionale, nel 2007, ha dichiarato legittima la norma.
Perché ha dichiarato legittima la norma e ha ritenuto che non esiste una disparità di trattamento?
Ha detto che in realtà il socio della S.r.L. non è trattato in modo deteriore rispetto all’azionista, anzi sotto certi punti di vista è trattato meglio perché l’azionista se raggiunge il 10% con altri azionisti, possono promuovere questa azione denunciando gravi irregolarità davanti al tribunale ed ottenere la revoca degli amministratori e la sostituzione con l’amministratore giudiziario; il socio di S.r.L. è trattato ancora meglio perché il socio di S.r.L. per quanto piccola sia la sua partecipazione al capitale può chiedere il risarcimento del danno e può revocare l’amministratore. Quindi interpretando la norma sulla revoca dell’amministratore come una norma che non richiede necessariamente un’azione di responsabilità ma ha una sua rilevanza autonoma. Quindi una volta attribuiti al singolo socio il potere di agire in responsabilità e di revocare l’amministratore, il singolo socio di S.r.L. è trattato ancora meglio dell’azionista e quindi non c’è disparità di trattamento.
Quindi è stata respinta la richiesta di dubbio di illegittimità costituzionale. A fine 2009 è intervenuta la Cassazione, la quale ha affrontato direttamente il problema: laddove ci sia un collegio sindacale obbligatorio nella S.r.L., i sindaci possono come quelli delle S.p.A. denunciare le gravi irregolarità al tribunale? La Cassazione ha detto NO! Non possono perché il 2409 non è richiamato, e il fatto che non è richiamato non è illegittimo dal punto di vista costituzionale (lo ha detto anche la Corte Costituzionale..beh, se lo ha detto Lei allora andiamo sereni).
Recentemente il Tribunale di Milano si è trovato di fronte a una fattispecie dove si era verificata una situazione grave con gravi irregolarità da parte degli amministratori, dove i soci erano o conniventi o del tutto assenti e dove il collegio sindacale si era trovato a fronteggiare una situazione grave senza avere nessun appoggio da parte dei soci che magari erano d’accordo con gli amministratori, ed allora è andato innanzi al Tribunale ed ha chiesto di revocare gli amministratori, di nominare un amministratore giudiziario e di risanare la situazione. Naturalmente gli amministratori si sono costituiti in giudizio sbandierando le sentenze della Corte Costituzionale e della Cassazione; la sentenza della Corte Costituzionale che dice del mancato richiamo del 2409 e va benissimo e la sentenza della Cassazione che dice che il 2409 non esiste e quindi non si sognino i sindaci di utilizzare questo strumento.
Il prof dice onestamente che l’ottava sezione del Tribunale di Milano che si occupa di diritto societario ha avuto il coraggio di dire a chiarissime lettere no alla Corte Costituzionale e no alla Cassazione. Attenzione un tribunale non può dire che ha sbagliato la Corte Costituzionale, perché se la Corte Costituzionale dichiara illegittima una norma non può che accettarlo (continuiamo ad andare sereni); ma siccome la Corte Costituzionale la dichiara legittima può ancora dubitare, ma soprattutto può dubitare della motivazione.
Il tribunale può benissimo orientarsi in modo diverso da qualsiasi altro giudice compreso la Cassazione. Nel sistema italiano, a differenza dei sistemi common law, non esiste la regola del principio vincolante, quindi il tribunale o la Corte d’Appello possono benissimo orientarsi in modo diverso dalla Cassazione e qui il Tribunale di Milano ha avuto il coraggio di prendere di petto le motivazioni della Cassazione e dire che aveva sbagliato.
Sul piano operativo, al prof pare che il Tribunale di Milano abbia pienamente ragione, perché altrimenti di fronte a comportamenti illegittimi degli amministratori che non siano penalmente rilevanti (perché allora scatteranno altre sanzioni) e di fronte all’inerzia dei soci non c’è altro strumento.
Ora, tendendo conto del fatto che la S.r.L. può essere utilizzata per le grandi società anche a partecipazione diffusa, il prof non vede per quale ragione al  mondo si debba ritenere che il collegio sindacale, come quello delle S.p.A. non possa effettuare la denuncia al tribunale e il tribunale non possa utilizzare questo strumento così forte di revoca degli amministratori e di nomina di un amministratore giudiziario.
Quindi possiamo dire che nel caso del collegio sindacale obbligatorio i sindaci possono usare lo strumento di denuncia al tribunale di gravi irregolarità con conseguente revoca degli amministratori e nomina dell’amministratore giudiziario. I sindaci possono anche promuovere l’azione di responsabilità, ma l’azione di responsabilità è un’azione che riguarda il passato e ripristina i danni. Tale azione è diretta a risarcire i danni e togliere il male del passato ma non si riferisce al futuro. Di fronte al pericolo di continuazione di gravi irregolarità l’unica vera solizione è la revoca degli amministratori. Applicando poi il 2409 si risolve anche il problema della nomina dei nuovi amministratori: il socio può agire chiedendo la revoca degli amministratori e il tribunale può revocarli subito, ma chi nomina i nuovi amministratori?
Se c’è un socio di minoranza che ha ottenuto la revoca degli amministratori, i nuovi amministratori saranno sempre nominati dai soci di maggioranza; nel caso invece del 2409 (almeno per la prima frase) il nuovo amministratore dovrà nominarlo il tribunale.
Passiamo ora all’ipotesi del socio che abbia poteri gestori: il socio può avere poteri gestori in quanto all’assemblea dei soci siano attribuite competenze gestorie sottraendole agli amministratori; abbiamo visto che al singolo socio possono essere attribuiti poteri gestori come diritto particolare.
La possibilità di attribuire competenze all’assemblea sottraendole agli amministratori può realizzarsi prima di tutto attraverso una clausola statutaria, attraverso cioè una clausola dell’atto costitutivo che dica che certe competenze gestorie sono attribuite all’assemblea.
Ma l’assemblea dei soci può acquisire competenze gestorie una tantum, perché sia una minoranza di soci sia i singoli amministratori hanno la facoltà di deferire all’assemblea dei soci determinate decisioni. Questo è un meccanismo un po’ perverso che consente in sostanza di bloccare una decisione degli amministratori (quindi una decisione che rientra nelle competenze degli amministratori per trasferirla per trasferirla all’assemblea) e questo passaggio può avvenire o per richiesta di un singolo amministratore o di amministratori, oppure per richiesta di soci di minoranza che raggiungano un terzo del capitale.
Comunque sia, quando un socio in assemblea adotta un atto di gestione, che cosa succede? Ci sono 2 regole:
- assume responsabilità dell’atto di gestione : se il socio partecipa a una deliberazione assembleare gestoria o il socio avendo un diritto particolare pone in essere da solo un atto di gestione è responsabile di quest’atto.
Quindi se viola i doveri proprio degli amministratori in quel momento è come se fosse amministratore; se reca un danno alla società è responsabile.
Il legislatore ha addolcito questa responsabilità attraverso l’introduzione di un limite che è incomprensibile: è un limite che è difficilissimo da interpretare perché ognuno lo interpreta a suo modo e crea solo casino. Il legislatore dice che “il socio è responsabile degli atti di gestione posti in essere intenzionalmente”: che cosa voglia dire intenzionalmente nessuno lo sa. Mentre l’amministratore è responsabile degli atti di gestione, il socio è responsabile degli atti di gestione che pone in essere intenzionalmente. Molti hanno osservato giustamente che la intenzionalità non può riferirsi all’atto in sé, perché tutti gli atti sono intenzionali.
Quindi l’intenzionalità non può che riferirsi al pregiudizio che ne deriva dall’atto; e allora cosa vuol dire intenzionale? Ci sono ipotesi, comunque sia il socio gestore è responsabile;
La seconda regola riguarda la posizione degli amministratori:
- posizione degli amministratori: anche se il socio gestore è responsabile, di quell’atto ne sono anche responsabili gli amministratori. Detto in sintesi: laddove vi sia un atto gestorio posto in essere da un socio scatta la responsabilità del socio e degli amministratori; la norma è estremamente importante.
La norma è estremamente importante soprattutto nel fallimento: il curatore ha il dovere di verificare se gli amministratori hanno gestito male e solo responsabili e quindi ha la facoltà di agire in responsabilità contro gli amministratori; nelle S.r.L. (lo dice oggi a chiare lettere la nuova legge fallimentare) il curatore ha il dovere di verificare sia la condotta degli amministratori sia la condotta dei soci gestori e se ravvisa atti di mala gestione di agire in responsabilità contro gli amministratori e contro i soci di S.r.L.. Quindi oggi i soci di S.r.L. non amministratori che hanno partecipato alla gestione della società rischiano di subire un’azione di responsabilità come gli amministratori.
Approfondiamo questo discorso che rappresenta una peculiarità delle S.r.L.: questa responsabilità del socio gestore e questa corresponsabilità degli amministratori.
Il prof crede che valga la pena approfondire questo discorso perché permette di affrontare 2 temi che consento di vedere i fondamenti della governance della S.p.A. e della S.r.L..
Un primo profilo è questo:quando ci troviamo di fronte a una scelta gestionale, abbiamo una sequenza nel tempo di vari momenti: è facile distinguere un primo momento di carattere istruttorio, diretto ad acquisire tutte le informazioni dirette a raggiungere una scelta consapevole.
Un secondo momento della vera e propria scelta e poi c’è un terzo momento della esecuzione della scelta. Abbiamo così la fase preparatoria, decisoria e attuatoria.
Fa un esempio banale: immaginiamo ci sia una S.r.L. in una situazione di espansione, il mercato va bene, ci sono prospettive di crescita e dei soci attenti all’art. 2476 e sono pronti a fare dei versamenti a fondo perduto allargando le basi finanziarie della società. Si vuole decidere allora, per ampliare le capacità finanziarie della società, di abbandonare la sede operativa, il capannone e di acquisirne di nuovi, strutture molto più grandi per produzioni maggiori. Si tratta di individuare una sede e un nuovo capannone. Si tratta quindi di porre in essere un atto di gestione.
Si capisce che questa scelta, come tutte le altre scelte gestionali della società, non può essere fatta alla carlona; non si può prendere in considerazione il primo capannone che capita ed acquistarlo.
Occorrerò procedere ad un’indagine, verificando i prezzi di mercato, le opportunità della collocazione della sede, la vicinanza a certe infrastruttura, che il terreno non sia franoso.
Fatta l’indagine, l’organo amministrativo fatti i dovuti raffronti effettuerà una scelta.
Quali sono i profili che il legislatore oggi, con delle norme collocate anche sistematicamente in ambiti diversi e non così immediati, ci da?
Ci da una prima regola fondamentale, e cioè l’importanza della fase istruttoria, preliminare.
Il legislatore ci dice, per la S.p.A. (il prof crede anche per le S.r.L. ma non c’è una norma parallela) che non basta svolgere un’attività preliminare istruttoria con la dovuta diligenza, perché il legislatore dice che per i vari atti di gestione più importanti, occorre individuare delle regole standardizzate e cioè non basta svolgere un’attività diligente ma bisogna a priori darsi delle procedure. Per i vari atti gestori più significativi, per le modalità di organizzazione della società, per la tenuta della contabilità, la società deve darsi delle procedure standardizzate, regole di comportamento standardizzate, modificarle nel tempo se necessarie e deve applicarle. Per esempio per gli acquisti di immobili la procedura dovrebbe prevede un’analisi dello stato dell’immobile, conformità agli standard urbanistici, ecc.
Quello che il legislatore impone è che vengano create queste procedure adeguate in modo da non solo porre in essere l’attività istruttoria in modo diligente, ma avere già degli schemi per disciplinare i singoli atti istruttori. Questo dal punto di vista giuridico è una vera e propria rivoluzione, mentre dal punto di vista operativo no, perché il legislatore lo aveva già previsto.
Bene; ma tutto questo da dove lo si ricava? Lo si ricava da 2 norme, collocate in contesti diversissimi: una prima norma è collocata nell’art. 2381 in tema di organi delegati (amministratore delegato e comitato esecutivo su cui poi vorrebbe soffermarsi). Questa norma dice che gli organi delegati (se poi non esistono organi delegati sarà il consiglio) devono creare assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati. È una delle norme più importanti introdotte dal legislatore della riforma. Devono creare delle procedure adeguate, standardizzate adeguate per le scelte della gestione.
L’altra norma fondamentale è l’art. 2403 che indica i compiti del collegio sindacale. Il collegio sindacale deve controllare la gestione della società, l’operato degli amministratori e valutarlo alla luce di 2 parametri:
- un primo parametro è il dato normativo da valutare con le regole statutarie, quindi un dato formale;
- il secondo paramero è un dato sostanziale, cioè le regola di corretta amministrazione.
Il legislatore dice che le regole di corretta gestione sono in primo luogo e soprattutto la creazione e l’applicazione degli assetti adeguati. Quindi un compito fondamentale del collegio sindacale è verificare se questi assetti sono stati creati, sono stati adeguati via via nel tempo e se sono stati correttamente applicati.
Ma perché tutto questo è ESTREMAMENTE IMPORTANTE? Quando si parla di responsabilità degli amministratori si parla sempre di violazione di doveri e si parla di danno derivante dalla violazione dei doveri. Quindi gli amministratori sono responsabili se violano i loro doveri.
A contrario, secondo una regola assolutamente pacifica, codificata dalla giurisprudenza degli Usa, gli amministratori non sono responsabili per errori di gestione. Sono quindi responsabili se violano i loro doveri, non sono responsabili se invece commettono errori di gestione (cioè se pongono in essere una scelta sbagliata). A questo punto la responsabilità degli amministratori verrà in gran parte valutata tenendo conto della fase istruttoria, preliminare, perché gli amministratori hanno l’obbligo di dotarsi di assetti adeguati, di procedure adeguate e di applicarle.
Vediamole in concreto con il nostro banale esempio: gli amministratori hanno acquistato il capannone a 1000 (potevano acquistarlo a 800 cribbio però!); l’hanno acquistato in una zona un po’ disgraziata, mentre potevano acquistarlo in una zona più interessante. Se hanno fatto un cattivo affare hanno sbagliato, ma non saranno perseguibili sotto il profilo civilistica; non si potrà instaurare un’azione di responsabilità.
Hanno sbagliato, hanno fatto un errore di gestione. L’assemblea potrà revocarli, l’assemblea e non i singoli soci, perché non è una grave irregolarità. Potrebbero non essere rinominati, ma tutto si ferma qua.
Gli amministratori sono esenti da responsabilità per errori di gestione se e in quanto abbiano posto in essere un’attività istruttoria secondo le norme di legge e quindi primo si siano dati regole standardizzate, assetti e procedure adeguate e secondo le abbiano modificate (se necessario) nel tempo e terzo le abbiano applicate. Quindi se l’attività istruttoria, preliminare è stata fatta senza applicare queste regole o applicando delle regole chiaramente inadeguate, gli amministratori saranno responsabili.
Tutto questo è una novità del 2004, della riforma societaria, non è che si sia formata una giurisprudenza su questi temi ma sicuramente, il metro di misura dell’attività degli amministratori oggi guarda all’attività istruttoria, all’attività preliminare.
Chiude ricordando un dato recentissimo: recentemente il consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili ha redatto un interessante documento costituito dalle norme di comportamento del collegio sindacale. È assolutamente conforme all’orientamento del legislatore l’enfasi che è stata da data da questo documento sulla vigilanza da parte del collegio sindacale proprio in ordine all’attività istruttoria per verificare che gli amministratori si dotino di adeguate strutture, di adeguati assetti e che li applichino.
A questo punto il collegio sindacale deve non sindacare in merito a ciascuna scelta gestionale, ma sindacare sulle modalità, l’indagine che è stata fatta per arrivare a ciascuna scelta gestionale. Detto un po’ in soldini la scelta è di per sé insindacabile ma è sindacabile il percorso che è stato fatto per raggiungere quella scelta, la diligenza usata nel raggiungere quella scelta.
La prossima volta il prof vorrebbe trattare un altro profilo fondamentale nella governance che è la diversità di posizione e di responsabilità tra gli amministratori e i qualcun altro…forse i soci;lo vedremo per le S.p.A. e poi lo ribaltiamo sulle S.r.L..
Nelle società per azioni, sia di modeste dimensione che di grandi dimensioni, i componenti del consiglio di amministrazione non si collocano sullo stesso piano. Abbiamo una differenza di ruoli a volte nette e a volte più marcata tra amministratori semplici e consiglieri di amministrazione che fanno parte del comitato esecutivi oppure sono amministratori delegati. Pensiamo al ruolo di amministratore delegato di Marchionni. La figura dell'amministratore delegato e anche, forse in misura minore, l'istituto del comitato esecutivo assumono un ruolo fondamentale. I veri gestori e i veri detentori delle scelte di gestioni sono gli amministratori delegati e i membri del comitato esecutivo. Questo non significa che il consiglio di amministrazione abbia un ruolo secondario ma questo ha un ruolo legato alle scelte strategiche e quindi alle scelte di fondo. Invece il ruolo degli amministratori delegati si concentra sulla gestione ordinaria. In questa prospettiva può essere importante un dato puramente intrinseco. Di fatto i consigli di amministrazione si riuniscono poche volte all'anno mentre l'amministratore delegato è sempre presente nella sede. Per cui non c'è dubbio che la disciplina della delega contenuta nell'articolo 2381 c.c. (disciplina della delega del potere gestoria) abbia una grande portata. In presenza di una clausola statutaria che l'autorizzi, il consiglio di amministrazione può delegare delle proprie competenze ad un amministratore o ad alcuni amministratori (amministratore delegato o amministratori delegati), oppure ad un organo collegiale più ristretto costituito da amministratori (comitato esecutivo). La delega può avere una portata amplissima. Possono essere delegati dal consiglio tutte le competenze ad esclusioni di quelle competenze indelegabili come la redazione del bilancio. Quindi possono essere delegate le funzioni ma nei limiti stabiliti dalla legge.
L'istituto del consiglio di amministrazione ha un risvolto sotto il punto di vista della responsabilità. La domanda che ci si pone è questa: della gestione delegata, ovvero dell'attività svolta dal delegato o dal comitato esecutivo, chi risponde? Ovviamente risponde l'amministratore delegato e il comitato esecutivo ma rispondono anche i deleganti?
Il legislatore fin dal 42' ha assunto una posizione abbastanza equilibrata. Infatti valgono i principi secondo cui se i deleganti, cioè coloro che sono consiglieri di amministrazione e non delegati, rispondessero come i delegati nella gestione delegata allora questo non avrebbe senso e la delega risulterebbe morta. D'altra parte il legislatore non consente neppure la soluzione nella quale i componenti del consiglio di amministrazione non delegati siano immuni da responsabilità ovvero possano non vigilare per nulla e disinteressarsi della gestione delegata.
Inoltre  la giurisprudenza era abbastanza rigorosa nel mettere sullo stesso piano delegato e delegati sopratutto in sede di azioni di responsabilità promossa dal curatore e quindi anche i delegati rischiavano di avere una responsabilità simile.
La riforma è intervenuta prevedendo una nuova norma chiara che individua con chiarezza una soluzione altrettanto equilibrata. Prima di tutto il legislatore impone che l'amministratore delegato e il comitato esecutivo informino con una relazione, almeno con cadenza semestrale, il consiglio della gestione delegata. Quindi c'è un obbligo istituzionalizzato, con cadenza precise, di informazione al consiglio della gestione delegata posto in essere. Ovviamente è un'informazione sulle linee generali e sugli atti di maggiore rilievo. Il consiglio ha dei poteri molti forti di reazione di fronte a un malagestio operato dall'amministratore delegato o dal comitato esecutivo. La prima cosa che può fare è revocare la deroga, revocare il delegato oppure dare delle direttive vincolanti ai delegati. Quindi di fronte ad atti di malagestio o comunque di atti non condivisi da parte dei delegati, il consiglio ha dei poteri di reazioni forti in quanto è un organo sovraorinato rispetto ai delegati. Il legislatore rende responsabili anche i deleganti della malagestio operato dall'amministratore delegato o dal comitato esecutivo ma nei limiti delle informazioni che hanno ricevuto. In sostanza vuol dire che i deleganti non debbono preoccuparsi di andare a ricostruire la gestione delegata. I deleganti hanno comunque una funzione passiva perchè ricevono delle informazioni. Tuttavia i deleganti non possono stare “con le mani in mano” ma devono valutarle. Se da queste informazioni risultano atti di malagestio, risulta il sospetto di atti di malagestio o risultano profili di criticità, i deleganti devono attivarsi utilizzando i propri poteri come quelli citati sopra. I deleganti e quindi il consiglio è responsabile dell'operato dei delegati ma nei limiti dell'informazioni che ricevono. Quindi se i delegati hanno posto in essere delle operazioni occultate e nulla hanno detto ai deleganti, i membri  del consiglio non sono responsabili.
C'è un altra norma che sembra dire il contrario. Questa deve essere coordinata con quella precedente. La norma dice che gli amministratori devono agire in modo informato. Se prendiamo le due norme senza coordinarle tra loro sembra che dicano due cose opposte: La prima abbiamo visto che ci dice che gli amministratori ricevono un flusso di informazioni da dei delegati  e se da quel flusso risultano elementi di sospetto devono attivarsi altrimenti sono responsabili. L'altra norma invece dice che gli amministratori devono agire in modo informato e quindi sembra che questi debbano farsi parte diligente e acquisire delle informazioni sulla gestione dei delegati. Ma come si pongono queste due norme se le coordiniamo insieme? Questa è un'interpretazione diffusa e accolta dalla giurisprudenza. La norma che prevede che gli amministratori debbano agire in modo informato deve essere interpretata, per coordinarla con l'altra, nel senso che gli amministratori non  devono essere dei lettori acritici delle relazioni ricevute dai delegati. Quando i deleganti ricevono il flusso di informazioni dei delegati non possono essere dei meri spettatori e dei meri fruitori acritici di queste informazioni ma devono valutare se queste informazioni sono sufficienti e  contraddittorie. Nel caso in cui da queste informazioni risultino elementi di contraddittorietà, lacune o dubbi è necessario che i deleganti chiedano ulteriori informazioni. Il consiglio di amministrazione ovvero i deleganti sono responsabili se:
- non hanno tenuto conto delle informazioni ricevute;
- pur tenendo conto delle informazioni ricevute non hanno richiesto un supplemento di informazioni e quindi non abbiano assunto parte diligente quando sono presenti lacune, dubbi o elementi di contraddittorietà.
Se gli amministratori hanno valutato con attenzione le informazioni ricevute ed hanno verificato la loro completezza e congruenze, qualora l' amministratore delegato o il comitato esecutivo abbiano posto in essere atti di malagestio risultanti occulti  saranno solo i delegati ad essere responsabili e non i deleganti.
Questa è una norma importante in quanto consente di creare un ruolo responsabile ma non eccessivamente responsabile. Un ruolo e una responsabilità adatti per il ruolo di deleganti e non delegati.
Fino ad ora abbiamo parlato di Spa e della rilevanza anche ai fini della responsabilità della fase istruttoria nelle scelte gestionali e del fatto il legislatore prevede non solo una particolare intelligenza della fase istruttoria ma anche la creazioni di standard di a priori di comportamento. Poi  abbiamo parlato di delega e responsabilità. In tutto questo abbiamo preso in riferimento norme di Spa. Tuttavia di tutto questo nell'ambito delle S.r.l non risulta nulla ed infatti non si parla di rilevanza degli assetti organizzativi adeguati. Quindi il legislatore ha scelto di creare un vero vuoto legislativo in ordine ad alcuni profili relativi al rapporto di amministrazione come la revoca, la diligenza richiesta, la modalità di comportamento, il compenso, la deroga e la cessazione. E allora? Ci sono state disparità DI OPINIONE. L'opinione del Prof. Cagnasso, contrastata dal padre delle riforma, è che il fatto che le le S.r.l e le S.p.a abbiano lo stesso regime di responsabilità e il fatto che i terzi creditori possono soddisfarsi sul patrimonio della società fa si che certe garanzie di buona gestione non possano che essere comuni. Se partiamo da questa idea dobbiamo arrivare alla conclusione che la fase istruttoria, preparatoria nelle scelte gestionali è molto importante. Dobbiamo anche arrivare alla conclusione che gli amministratori debbano usare la diligenza prevista per la S.p.a ovvero quella diligenza qualificata per svolgere questa attività. Naturalmente tutto va adeguato e rapportato al singolo caso. Un po' più dubbio è se anche per le S.r.l debbono essere previste le procedure standardizzate. Il Prof. Cagnasso azzarda nel dire di si (statti all'uopo) aggiungendo che queste devono essere adeguate al caso. Il professore inoltre non ha nessun dubbio come tutta la giurisprudenza che la  delega possa trovare applicazione anche nelle S.r.l e quindi è chiaro che se questa trova applicazione allora troveranno applicazione le norme in tema di responsabilità e quindi anche per le S.r.l i delegati dovranno dare le informazioni e i deleganti devono tenerne conto valutando la congruità e completezza.  In sostanza il Prof. Cagnasso crede che, seppur dovendo adottarle ai singoli casi, le norme relative alla governance delle Spa valgono per le S.r.l.
Se ci muoviamo in questa prospettiva (chi non segue questa prospettiva comunque non arriva a conclusioni diverse) ci chiediamo cosa succede se le scelte gestionali non spettino piu al consiglio ma all'assemblea o a singoli soci. 
Il discorso che sta per fare il Prof. Cagnasso non avrebbe molto senso nel caso in cui i soci siano anche amministratori in quanto non c'è' un dualismo e quindi tra scelte delle assemblea e scelte dell'amministratore non ci sarebbe differenza. Stessa logica vale nel caso di socio e amministratore unico.
La base di partenza è che ci sia quindi in una S.r.l  una divaricazione tra assemblea, soci e amministratori. Pensiamo quindi ad una S.r.l a partecipazione mista o a partecipazione di enti pubblici che veda i soci e un amministratori che non è un socio. Immaginiamo anche che non esista la clausola che attribuisce competenza gestoria all'assemblea o ai singoli soci. Cosa succede? Succede che l'amministratore unico dovrà adottare le sue decisioni con una istruttoria adeguata secondo standard prefissati. Se non ci fosse un amministratore unico e il consiglio di amministrazione nomina l'amministratore delegato allora questo deve dare le sue brave informazioni al consiglio di amministrazione e di conseguenza questo dovrà chiedere eventualmente le informazioni ulteriori.
Ma immaginiamo che il quadro sia diverso. Immaginiamo una S.r.l in cui ci sia l'assemblea con competenze gestorie, un consiglio di amministrazione e un amministratore delegato. Coloro che costituiscono il consiglio di amministrazione e colui che è amministratore delegato sono non soci. Immaginiamo che le competenze gestorie attribuite all'assemblea siano relative all'acquisto di immobili sopra ad una certa soglia. Cosa succede? Normalmente sarebbero i membri del consiglio di amministrazione a prendere le mosse ma potrebbero essere anche i soci. Si tratta di valutare il famoso acquisto del bene immobile che è di competenza dell'assemblea. La prima cosa da fare è l'attività istruttoria che deve essere fatta secondo l'ordinaria diligenza e forse secondo standard formalizzati. Quindi dovranno essere assunte tutte quelle informazioni sullo stato del mercato, sulla situazione urbanistica ecc. Chi svolge l'attività istruttoria se la competenza gestoria spetta all'assemblea? Spetta agli amministratori svolgerla. I soci in quanto tali non sono di certo l'organo deputato a svolgere l'attività istruttoria. Questa prima fase, anche se spetta all'assemblea o spetta ai singoli soci, sicuramente è una fase di necessaria competenza degli amministratori. Successivamente ci sarà la fase decisoria e questa compete ai soci e quindi in sede assembleare verrà il presidente del consiglio di amministrazione e l'amministratore delegato. Questi esporranno l'attività istruttoria fatta e i soci avranno il compito di decidere.
Tuttavia occorre ancora distinguere due casi. L'assemblea gestoria può avere competenze gestorie vere e proprie e quindi decide oppure può avere solo competenze autorizzative. Nel primo caso l'assemblea gestoria decide prima di tutto se acquistare o no un immobile e poi quale acquistare. In questo caso l'assemblea fa una scelta gestoria. Invece nel secondo caso di  assemblea autorizzativa potrà solo dire va bene e autorizza l'acquisto dell'immobile. A quel punto il consiglio di amministrazione è libero di acquistare oppure no. Questa è la differenza. Mentre la scelta gestoria è una scelta che impone al consiglio una soluzione, la scelta autorizzativa autorizza una soluzione ma poi lascia al consiglio il potere di eseguire o meno. Per semplicità immaginiamo che l'assemblea abbia una competenza gestoria in senso stretto. IL presidente del consiglio fa la sua brava relazione insieme al collegio sindacale se c'è, ci sarà un dibattito da parte dei soci e poi si arriva ad una decisione per esempio l'acquisto di un immobile. L'inter non è ancora terminato perchè l'assemblea ha solo deciso di acquistare l'immobile (ad esempio quello relativo alla terza proposta avanzata in assemblea). Non acquista ancora l'immobile numero tre perchè in questo caso deve porre in essere un atto notarile tra la società e il proprietario dell'immobile. Quindi l'assemblea nel deliberare una scelta gestionale obbliga al consiglio di amministrazione di porre in essere la fase esecutiva. Il legale rappresentante della società (il presidente, amministratore delegato, un procuratore) va dal notaio insieme al venditore e acquista l'immobile. La società diventa proprietaria e l'operazione si chiude. Il problema che si pone è: se questo è un atto di malagestio chi risponde? Il legislatore dice che se è un atto dei soci e rispondono i soci se hanno agito intenzionalmente. Però poi il legislatore aggiunge che rispondono anche gli amministratori. C'è una responsabilità dei soci e degli amministratori. Si tratta di capire fino in fondo quale e quanto sta questa responsabilità sui soci e quale e quanto sta la responsabilità degli amministratori. Continuiamo con gli esempi.
Gli amministratori vengono in assemblea e dicono che c'è l'immobile numero 1 che costa 100 collocato in una posizione perfetta e opportuna. C'è anche l'immobile 2 che costa 150 ed è collocato in una posizione non adeguata. I soci deliberano l'acquisto dell'immobile 2 perchè si scopre che il socio di maggioranza ha degli interessi personali. In questo caso le responsabilità del malagesto ricadano sui soci anche perchè questi sono stati pienamente informati sugli interessi della società.
Immaginiamo un caso diverso e che ci sia uno degli amministratori che ha un interesse a vendere un certo immobile. Immaginiamo quindi che gli amministratori svolgano un'attività istruttoria dando delle informazioni non corrette e quindi sottacendo che un certo immobile sia venduto a prezzo conveniente. Oppure immaginiamo che gli amministratori abbiano svolto l'attività istruttoria alla buona e quindi che non abbiano raccolto le informazioni in modo completo le informazioni. Di fronte ad un'attività istruttoria non completa o non corretta o di fronte ad un'attività istruttoria che porta delle informazioni false, i soci sono ancora responsabili? Fermo restando che l'attività istruttoria sia compito degli amministratori anche di fronte a scelte operate dai soci qual'è la responsabilità di questi in presenta di un'attività istruttoria non svolta seconda l'ordinaria diligenza? Questo è un quesito molto importante. Il Prof. Cagnasso PENSA (opinione personale) che si possano applicare le regole esaminate in tema di delega. Se i deleganti, che sono amministratori, non sono responsabili qualora siano state fornite delle informazioni non correte però formalmente complete e non contraddittorie allora lo stesso discorso vale per i soci. Ovvero se gli amministratori forniscono ai soci i risultati dell'attività istruttoria e forniscono delle informazione complete e non contraddittorie, i soci non sono responsabili. Se i deleganti non sono responsabili per gli atti operati dai delegati quando hanno ricevuto delle informazioni incomplete ma formalmente esaustive e non contraddittorie allora i soci sono esenti da responsabilità. Saranno responsabili sicuramente gli amministratori. Ma attenzione che i soci saranno responsabili se hanno agito in modo non informato ovvero se in presenza di informazioni lacunose e contraddittorie non hanno chiesto un supplemento di informazioni. Questo significa che in una serie di casi i soci potrebbero difendersi contro un'azione di responsabilità dicendo che si sono basati su informazioni che gli amministratori hanno reso a loro disposizione. Se queste informazioni sono frutto di un'attività istruttoria non corretta questa sarà colpa degli amministratori.
Passando sul fronte degli amministratori chiediamo quando questi sono responsabili. Gli amministratori sono sempre responsabili. Saranno responsabili quando danno informazioni non corrette. Sono comunque sempre responsabili se gli amministratori hanno eseguito una deliberazione dei soci che sia un atto di malagestio. Quindi se i soci effettuano una scelta gestionale e se questa è contraria alle regole di buona amministrazione e produce un danno alla società, gli amministratori  che eseguono questa scelta sono responsabili.
Ciò comporta una conseguenza molto importante. Non si può contemporaneamente essere obbligati ad eseguire qualcosa ed essere responsabili. Gli amministratori sono obbligati a porre in essere l'atto di gestione deciso dai soci. Dall'altra parte il Legislatore ci dice che gli amministratori sono responsabili se eseguono deliberazioni dannose. La contemporanea presenza dell'obbligo di eseguire e della responsabilità non è configurata. Qui il Legislatore dicendo che gli amministratori sono comunque responsabili se eseguono una deliberazione illegittima e sostanza va in sostanza a dire questo: l'assemblea decida ma gli amministratori hanno un obbligo di valutazione delle deliberazione assembleare. Se la deliberazione assembleare è legittima devono eseguirla. Se la deliberazione assembleare è una deliberazione che rappresenta un atto di malagestio e produttivo di danni, gli amministratori debbono non eseguirla e se la eseguono sono responsabili. Quindi gli amministratori si trovano nella situazione in cui se non eseguono un atto legittimo sono responsabili e se eseguono un atto illegittimo dannoso sono responsabili. E' una scelta che a volte non è facile ed infatti se gli amministratori si trovassero di fronte ad una scelta difficile l'unica strada di uscita è quella delle dimissioni.
Attribuire ai soci delle competenza gestorie può essere una soluzione in certi casi opportuna e in certi casi anche necessaria ma è una soluzione però dagli effetti significativi. Non è sicuramente una clausola da inserire a cuor leggero ma è una clausola da inserire con molta attenzione perchè comporta il rischio ai soci di responsabilità per atti di malagestio e comporta per gli amministratori una situazione, a volte tutt'altro che facile, di scelta tra non eseguire una deliberazione e quindi di essere responsabile per non averla eseguita oppure eseguirla ed essere responsabile per averla  eseguita.
Naturalmente tutto questo presenta ulteriori problemi nel caso in cui l'atto gestiorio sia attribuito come diritto particolare al singolo socio. In questo caso nascono anche problemi dal punto di vista dello stesso funzionamento della società. Di fatto l'attività istruttoria deve essere posta in essere dagli amministratori e comunicata a quel socio. E' quel socio che decide e impone la sua volontà agli amministratori e questi devono comunque valutare se eseguire o meno la deliberazione.

Tratto da DIRITTO COMMERCIALE di Andrea Balla
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