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I casi di inadempimento di contratto

I casi di inadempimento di contratto

Ancora nel 1200, ben oltre la conquista normanna, le corti segnalano poi un sistema rigido di azioni tipiche, cioè non solo dal punto di vista della formazione del contratto non abbiamo la sufficienza del consenso (sebbene sia necessario); anche dal punto di vista dell'esecuzione del contratto (quindi della sua vincolatività) abbiamo un sistema rigido con un certo numero di azioni che entrano in gioco con riferimento a particolari violazioni dell'impegno preso.
Oggi si è abituati all'esistenza di un concetto generale di adempimento o di inadempimento: nel diritto italiano l'inadempimento è la mancata esecuzione (o la parziale o errata esecuzione) di un impegno preso con il contratto, in senso generale. Copre cioè qualsiasi tipo di prestazione: scatta la regola sull'inadempimento ogniqualvolta un soggetto concorda e poi non esegue la prestazione dovuta, qualunque essa sia.
In quel periodo in Inghilterra le cose non erano così: mancava un rimedio generale contro l'inadempimento, nel 1200 esistevano quattro specifiche azioni che entravano in gioco con riferimento a particolari violazioni:
se si trattava di mancato pagamento di una somma certa, liquida ed esigibile, il creditore poteva utilizzare l'azione di debt;
oltre l'azione di debt, il creditore poteva valersi dell'azione di detinue, con la quale poteva richiedere la riconsegna di cose mobili ingiustamente trattenute. Originariamente quest'azione poteva essere intentata solo nei confronti del consegnatario della cosa, e sempre che questi fosse in possesso di essa. Con il passare del tempo l'azione diventa esperibile anche nei confronti di chi avesse ricevuto la cosa;
troviamo poi l'azione di covenant, con la quale era possibile richiedere l'esecuzione degli impegni assunti consensualmente, con accordi aventi ad oggetto immobili e divisione dei patrimoni ereditari;
abbiamo infine l'azione di account, che serviva per ottenere la resa dei conti da parte di chi avesse ricevuto o amministrato danaro per conto dell'attore.
Siamo in ipotesi dove a monte c'è sempre un accordo tra le parti che comporta un qualche impegno. Qualora l'impegno venga violato la tutela giuridica, che si sostanzia nella possibilità di esperire un'azione, entra in gioco solo nell'ipotesi in cui la violazione abbia le caratteristiche sopra illustrate. Per cui il creditore poteva ottenere tutela giudiziale solamente se il debitore poneva in essere una di quelle violazioni, e solo esercitando la relativa azione: se di fronte al mancato pagamento di una somma liquida, certa ed esigibile utilizzava l'azione di covenant, ecco che vedeva respinta la propria richiesta, perché l'azione era sbagliata.
Vi erano quindi dei casi in cui un soggetto poteva pattuire una transazione e non aveva poi l'azione per ottenere il corrispettivo di quella transazione.
E' ovvio che un impegno, dal momento che non genera azioni in caso di violazione, non è vincolante.
Anche con riferimento alle azioni illustrate, l'approccio degli antichi inglesi era volto a sottolineare la natura di fatto illecito della violazione, nonché a sottolineare il carattere extracontrattuale della responsabilità del debitore. Cioè, il creditore che si avvaleva di una delle quattro azioni, anche se con essa fronteggiava la violazione di un impegno, in realtà otteneva una sentenza che accertava un fatto illecito del debitore (p.e. Nell'azione di detinue, si accertava che il debitore aveva trattenuto illegittimamente la cosa). La responsabilità del debitore non consegue quindi dal fatto di non aver tenuto fede all'impegno preso.
Quelle azioni, già di per sé ristrette, accertavano solo una responsabilità di tipo extracontrattuale: non c'era quindi spazio per il concetto di contratto come accordo volto a creare delle conseguenze di tipo giuridico.

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