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Imprenditore agricolo e imprenditore commercial

Imprenditore agricolo e imprenditore commerciale



L’imprenditore commerciale è destinatario di un’ampia ed articolata disciplina fondata sull’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese (con funzione di pubblicità legale), sull’obbligo della tenuta delle scritture contabili, sull’assoggettamento al fallimento e alle altre procedure concorsuali.
La nozione di imprenditore agricolo restringe l’ambito di applicazione della disciplina dell’imprenditore commerciale. Chi è imprenditore agricolo è sottoposto alla disciplina prevista per l’imprenditore in generale.
L’iscrizione nel registro delle imprese è stata infatti introdotta per tutti gli imprenditori agricoli nel 1993, dapprima con semplice funzione di pubblicità notizia e di recente anche con funzione di pubblicità legale, identica a quella prevista per gli imprenditori commerciali.
È controverso se debba ammettersi anche una terza categoria di imprese: le cosiddette imprese civili. Imprese non menzionate espressamente dal legislatore ed individuabili in base al criterio meramente negativo di non poter essere qualificate né agricolo né commerciali.

Art. 2135 cod. civ.: “È imprenditore agricolo chi esercita un’attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all’allevamento del bestiame e attività connesse. Si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all’alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura”.
Le attività agricole possono perciò essere distinte in: a) attività agricole essenziali; b) attività agricole per connessione.
L’impresa agricola fondata sul semplice sfruttamento della produttività naturale della terra permane ancora in certe zone del nostro paese, ma cede sempre più il passo ad un altro tipo di agricoltura: l’agricoltura industrializzata.
Vi era infatti chi riteneva che impresa agricola fosse ogni impresa che produce specie vegetali o animali; ogni forma di produzione fondata sullo svolgimento di un ciclo biologico naturale.
Vi era all’opposto chi riteneva che doveva essere dato rilievo anche al modo di produzione tipico dell’agricoltore (sfruttamento della terra e delle sue risorse).
Con la recente riforma il legislatore ha invece decisamente optato per la prima impostazione, con scelta ispirata dall’esigenza di contrastare l’abbandono delle campagne e di favorire lo sviluppo tecnologico dell’agricoltura, ma che rende ancor più difficile giustificare la persistente sottrazione al fallimento dell’imprenditore agricolo medio-grande.
L’attuale formulazione dell’art. 2135 ribadisce che: “E’ imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine”.
La produzione di specie vegetali ed animali è sempre qualificabile giuridicamente come attività agricola essenziale, anche se realizzata con metodi che prescindono del tutto dallo sfruttamento della terra e dei suoi prodotti.
In base alla nuova nozione, danno vita ad impresa agricola anche le coltivazioni fuori terra di ortaggi e frutta.
Non costituisce perciò attività agricola l’estrazione di legname disgiunta dalla coltivazione del bosco.
Costituisce attività agricola essenziale anche la zootecnica svolta fuori dal fondo o utilizzando questo come mero sedimento dell’azienda di allevamento (allevamenti in batteria), né è necessario che gli animali siano alimentati con mangimi naturali ottenuti dal fondo.
All’imprenditore agricolo è stato equiparato l’imprenditore ittico.

Anche per quanto riguarda le attività agricole per connessione, l’attuale nozione di imprenditore agricolo realizza un significativo ampliamento rispetto a quella previgente che le individuava: a) in quelle dirette alla trasformazione o all’alienazione di prodotti agricoli che rientravano nell’esercizio normale dell’agricoltura; b) in tutte le altre attività esercitate in connessione con la coltivazione del fondo, la silvicoltura e l’allevamento del bestiame, per le quali, in mancanza di specificazione legislativa, si riteneva che le stesse dovessero rivestire carattere accessorio.
Si intendono cmq connesse:
le attività dirette alla manipolazioni, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente da un’attività agricola essenziale;
le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, comprese quelle di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale e le attività agrituristiche.
È importante precisare quando un’attività intrinsecamente commerciale possa qualificarsi come agricola per connessione..
È necessario, innanzitutto, che il soggetto che la esercita sia già qualificabile imprenditore agricolo in quanto svolge in forma di impresa una delle tre  attività agricole tipiche e inoltre attività coerente con quella connessa (connessione soggettiva). È quindi certamente imprenditore commerciale chi trasforma o commercializza prodotti agricoli altrui.
La qualifica di imprenditori agricoli è però estesa alle cooperative di imprenditori agricoli ed ai loro consorzi quando utilizzano prevalentemente prodotti dei soci, ovvero forniscono prevalentemente ai soci beni o servizi diretti alla cura ed allo sviluppo del ciclo biologico.
È necessario che ricorra anche una connessione oggettiva fra le due attività.
Necessario e sufficiente è infatti solo che si tratti di attività aventi ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dall’esercizio dell’attività agricola essenziale, ovvero di beni o servizi forniti mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda agricola. È sufficiente che le attività connesse non prevalgono, per rilievo economico, sull’attività agricola essenziale.

È imprenditore  commerciale l’imprenditore che esercita una o più delle seguenti categorie di attività elencate dall’art. 2195:
Attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi. Darà vita ad impresa commerciale (industriale) ogni attività di impresa nel settore della produzione che sia qualificabile come attività industriale.
Attività intermediaria nella circolazione dei beni. È perciò impresa commerciale ogni attività di scambio che realizzi intermediazione nella circolazione di beni o servizi.
Attività di trasporto per terra, per acqua o per aria. L’attività di trasporto può essere perciò considerata specificazione dell’attività produttiva di servizi.
Attività bancaria o assicurativa.
Altre attività ausiliarie delle precedenti. Vi rientrano le imprese di agenzie, di mediazione, di deposito, di commissione, di spedizione, di pubblicità commerciale, di marketing.

Le attività indicate nei n. 3, 4 e 5 costituiscono, in realtà, specificazione delle prime due categorie ed in queste possono essere ricompresse in quanto hanno per oggetto o la produzione di servizi (imprese di trasporto, di assicurazioni e ausiliarie) o l’intermediazione nella circolazione (imprese bancarie). Gli elementi che individuano e distinguono l’impresa commerciale rispetto all’impresa agricola sono nel carattere industriale dell’attività di produzione di beni o servizi e nel carattere intermediario dell’attività di scambio.
Dal significato che si attribuisce a questi due requisiti, dipende l’esatta individuazione delle imprese giuridicamente commerciali e anche la possibilità di configurare una terza categoria di imprese né agricole né commerciali: le imprese civili.

L’imprenditore civile, né agricolo né commerciale, sarebbe sottoposto solo allo statuto generale dell’imprenditore, ma non a quello dell’imprenditore commerciale. Perciò non fallirebbe. La disputa verte intorno al significato da attribuire alle espressioni “attività industriale” e “attività intermediaria nella circolazione”.
Il requisito dell’industrialità deve essere inteso nel suo significato tecnico-economico di attività che implichi l’impiego di materie prime e la loro trasformazione in nuovi beni ad opera dell’uomo.
Sarebbero quindi imprese civili:
le imprese che producono beni senza trasformare materie prime, quali le imprese minerarie e le imprese di caccia e pesca;
le imprese che producono servizi senza trasformare materie prime e che non rientrano ovviamente fra le imprese produttrici di servizi, quali le imprese di trasporto, di assicurazione e imprese ausiliarie delle precedenti.

Imprenditore non commerciale e perciò civile sarebbe invece chi aliena dietro corrispettivo beni propri, in quanto in tal caso si avrebbe sì attività di scambio, ma non attività intermediaria nello scambio. Imprenditore civile sarebbe perciò l’imprenditore che eroga credito con mezzi propri.
La teoria dell’impresa civile non è però condivisa dalla dottrina prevalente.
L’espressione “attività industriale” altro non significa che attività non agricola e il concetto di intermediazione deve essere inteso in senso elastico, quale equivalente di scambio.
Vi è però una serie di altri indici che depone contro l’ammissibilità delle imprese civili.
Alcune delle pretese imprese civili erano sicuramente commerciali sotto l’abrogato codice di commercio.
Ammettendo la categoria delle imprese civili si amplierebbe l’area delle attività produttive sottratte alla più rigorosa disciplina delle imprese commerciali e soprattutto la si amplierebbe senza che tale trattamento di favore sia sorretto da alcuna giustificazione sostanziale.
È perciò preferibile interpretare il requisito della industrialità come sinonimo di attività non agricola e quindi qualificare come imprese commerciali anche quelle che producono beni o servizi senza dar luogo a trasformazione di materie prime.
È altresì preferibile interpretare il requisito dell’intermediazione nella circolazione dei beni come sinonimo di attività di scambio. Ogni attività che comporti circolazione di beni o denaro non inquadrabile fra quelle agricola per connessione.
Seguendosi questa impostazione, sarà commerciale ogni impresa che non è agricola.

Tratto da DIRITTO DELL'IMPRESA di Enrica Bianchi
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