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Diritto ecclesiastico dal 1929 al 1948


L’11 Febbraio 1929 furono stipulati i Patti Lateranensi.
Essi constavano di tre strumenti: Trattato, Concordato e Convenzione finanziaria.
Il primo abrogò la legge delle Guarentigie e risolse la “questione romana” con la costituzione dello Stato della Città del Vaticano, che doveva rappresentare il segno tangibile dell’indipendenza del Sommo Pontefice.
Il Concordato disciplinava la situazione della Chiesa in Italia, mentre la Convenzione chiudeva i rapporti economici pregressi tra Stato italiano e Santa Sede, riconoscendo a quest’ultima una somma a titolo di indennizzo per la perdita degli Stati pontifici.
La “conciliazione” fu il momento di più alto prestigio internazionale della dittatura mussoliniana, il cui disegno comportava la cancellazione dei diritti di libertà, e di libertà religiosa in particolare, onde la posizione del singolo era tutelata nei limiti e nella misura in cui coincidesse con l’interesse dell’istituzione.
Per completare il quadro normativo, si ricorda che con la l. 1159/29 fu disciplinato “l’esercizio dei culti ammessi nello Stato” e il “matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi”.
Detta legge prevedeva che potessero essere ammessi nello Stato italiano i culti diversi dalla religione cattolica purché non professassero principi o non seguissero riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume.
Nel 1930 fu pubblicato il nuovo codice penale, che prevedeva una serie di reati che tutelavano il sentimento religioso.
L’art. 402 c.p. puniva il vilipendio della sola religione dello Stato, ossia della religione cattolica; gli articoli successivi punivano il vilipendio di persone e di cose e la turbativa di funzioni religiose (artt. 403-405 c.p.); la pena era tuttavia diminuita (art. 406 c.p.) se i fatti si fossero realizzati contro culti ammessi.
La ratio consisteva nel fatto che solo la religione cattolica, a differenza dei culti ammessi, costituiva tradizione secolare e quindi elemento unificatore del popolo italiano nel regime fascista.
In questo quadro si inseriscono, infine, le c.d. “leggi razziali”, che colpivano i cittadini italiani di razza ebraica, dichiarati decaduti da qualsiasi ufficio o impiego pubblico, nonché dagli impieghi presso banche e società assicurative; tali disposizioni imposero il divieto di esercitare qualsiasi professione, di gestire imprese, di essere proprietari di immobili; di contrarre matrimoni con soggetti di razza ariana; ai fanciulli ebrei fu impedito di frequentare scuole pubbliche.
La Repubblica Sociale italiana, con provvedimento 30 Novembre 1943, dispose l’”arresto di tutti gli ebrei”.
Le leggi razziali vennero abrogate nell’Italia del Sud liberata, con i r.d.l. n. 25 e 26 del 1944.
Tali provvedimenti furono estesi a tutta Italia dopo il 25 Aprile del 1945.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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