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I reati a tutela delle confessioni religiose


L’art. 403 c.p. rubricato “Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone”, punisce al 1° comma “chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa” con la multa da un minimo di 1000 € a un massimo di 5000 €; e al 2° comma con la multa da un minimo di 2000 € a un massimo di 6000 €, qualora l’offesa ad una confessione religiosa sia integrata “mediante vilipendio di un ministro del culto”.
In entrambe le ipotesi siamo in presenza di un vilipendio indiretto: oggetto immediato dell’offesa è infatti la confessione religiosa per il tramite di un suo fedele o di un proprio ministro di culto.
L’offesa deve interessare soggetti determinati e non generiche universalità.
Il dolo richiesto, secondo la giurisprudenza prevalente, è quello generico e nel caso del vilipendio del fedele, oltre alla consapevolezza della qualità delle persone offese, deve interessare anche la pubblicità del luogo.

L’art. 404 c.p. rubricato “Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose”, al 1° comma punisce con la multa da 1000 € a 5000 € “chiunque, in luogo destinato al culto, o in luogo pubblico o aperto al pubblico, offendendo una confessione religiosa, vilipende con espressioni ingiuriose cose che formino oggetto di culto, o siano consacrate al culto, o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto, ovvero commette il fatto in occasione di funzioni religiose, compiute in luogo privato da un ministro di culto”; al 2° comma punisce con la reclusione fino a 2 anni “chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibili o imbratta cose che formino oggetto di culto o siano consacrate al culto o siano destinate necessariamente all’esercizio del culto”.
Le due figure di reato continuano a risentire dell’originale esplicito riferimento alla religione cattolica, nel cui lessico sono radicati la gran parte degli elementi descrittivi richiamati (“cose che formano oggetti di culto”, “cose consacrate al culto”, ecc…).
Ciò nonostante è chiaro che con il passaggio alla dizione “confessioni religiose”, la determinazione di tali elementi normativi dovrà, però, essere effettuata tenendo conto dei diversi ordinamenti confessionali di volta in volta interessati.
La condotta incriminata dal 1° comma, come nel caso dell’art. 403 c.p., integra una ulteriore ipotesi di vilipendio indiretto.
Quanto al 2° comma, più che una innovazione assoluta si può ritenere una sorta di novazione per distacco.
Non vi era dubbio, infatti, che già la vecchia formulazione coprisse le forme di vilipendio delle cose ivi elencate poste in essere sia con espressioni verbali, sia mediante il danneggiamento.
Forti le assonanze con il reato di danneggiamento di cui all’art. 635 c.p., ma manca l’inciso relativo all’altruità della cosa, così da doversi ritenere che l’art. 4042 c.p. consenta l’incriminazione del danneggiamento dei beni ivi indicati anche nel caso in cui fossero di proprietà del soggetto attivo del reato.
Anche per le fattispecie dell’art. 404 c.p. la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie ritengono sufficiente il dolo generico.
Di un semplice emendamento-sostituzione dell’inciso “del culto cattolico” con “del culto di una confessione religiosa” è stato oggetto l’art. 405 c.p. sul “Turbamento di funzioni religiose del culto di una confessione religiosa”, che punisce con la reclusione fino a 2 anni “chiunque impedisce o turba l’esercizio di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto di una confessione religiosa” (1° comma); e con la reclusione da 1 a 3 anni qualora “concorrono fatti di violenza alle persone o di minaccia” (2° comma).
Oggetto della tutela è l’esercizio del culto.
I concetti di funzioni, cerimonie o pratiche religiose vanno rapportati in base alle regole proprie delle diverse confessioni religiose.
Anche per tale reato la giurisprudenza maggioritaria reputa sufficiente il dolo generico.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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