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L’art. 31 cost.: l’uguaglianza formale


Si determina violazione dell’art. 31 cost. quando situazioni identiche siano trattate in modo ingiustificatamente diverso, mentre non si ha tale contrasto con il principio di uguaglianza quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non sostanzialmente identiche.
Il primo comma pone una serie di divieti di discriminazione con riferimento a sesso, razza, lingua, religione, ecc…
Il giudizio sulla violazione o meno della eguaglianza formale investe così la giustificabilità della differenziazione.
Si tratta, pertanto, non di una eguaglianza assoluta ma relativa, tendente a risolversi nel divieto di arbitrarie discriminazioni tra soggetti che si trovino in situazioni identiche o affini, così come di arbitrarie assimilazioni tra soggetti che si trovino in situazioni diverse.
La valutazione che la Corte Costituzionale offre delle differenziazioni consiste in sostanza in un giudizio di ragionevolezza delle medesime, nel quale il giudice delle leggi procede in genere attraverso un esame “trilaterale”.
Nel c.d. ragionamento (o giudizio) trilatero o triangolare, che la Corte effettua, alla base vengono dunque poste le due norme a confronto, mentre al vertice si colloca la ratio della norma.
Se quest’ultima risulta comune, la differenziazione non deve sussistere; se invece la ratio delle due norme appare diversa, la differenziazione ha la sua ragionevolezza, ossia risponde al principio di coerenza dell’ordinamento.
Quanto al fattore religioso, possiamo precisare che esso vieta:
- ogni discriminazione diretta, che viene a crearsi allorché vengano promulgati atti normativi che producano un effetto pregiudizievole, creando una preferenza, esclusione, distinzione tra individui fondata esclusivamente sulla religione;
- ogni discriminazione indiretta, che consiste in ogni trattamento pregiudizievole conseguente all’adozione di atti normativi, che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore gli individui in ragione della loro appartenenza (o non appartenenza) religiosa.
Infine, si può osservare che, in base all’art. 31 cost., tutte le esperienze religiose devono essere considerate capaci di assolvere al compito di promuovere e garantire lo sviluppo della società.
In virtù di questa considerazione, i pubblici poteri sono chiamati a garantire un regime di pluralismo confessionale.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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