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La crisi del sistema matrimoniale concordatario, l’Accordo di Villa Madama e la “stagione delle intese”


L’entrata in vigore della Costituzione mostrò subito l’incompatibilità tra alcuni valori ad essa sottesi e il sistema matrimoniale concordatario.
Tuttavia solo con l’introduzione della legge sul divorzio 898/70 si ebbe una svolta: la legge infatti consente a chi abbia contratto un matrimonio religioso regolarmente trascritto di farne cessare gli effetti civili.
Ciò ha comportato il venir meno della corrispondenza tra status di coniuge in sede religiosa e in sede civile assicurato dal Concordato e soprattutto il venir meno del principio dell’indissolubilità del matrimonio.
La Corte Costituzionale affermò la piena conformità alla Carta dell’istituto divorzile distinguendo tra atto e rapporto matrimoniale: spiegò che il divorzio incide esclusivamente sul rapporto matrimoniale e non tocca il matrimonio come atto, sorto e perdurante nell’ordinamento della Chiesa.
La Corte Costituzionale intervenne anche in tema di matrimonio concordatario:
dichiarò incostituzionale l’art. 16 l. 847/29 nella parte in cui non contemplava l’incapacità naturale di uno dei due soggetti quale causa di impugnazione della trascrizione in aggiunta ai casi espressamente previsti (mancanza di stato libero e interdizione);
dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 12 l. 847/29 nella parte in cui non prevedeva l’intrascrivibilità del matrimonio religioso contratto da un minore di età cui il codice civile non consente di contrarre matrimonio.
La Corte spiegò che alla base del sistema matrimoniale vi è un atto di libertà, ossia un atto di scelta dei nubenti tra matrimonio civile e concordatario.
Tale atti di scelta comporta la scelta della legge cui sottoporre la formazione del vincolo.
La Corte intervenne anche sul procedimento per l’esecuzione delle sentenze ecclesiastiche di nullità e delle dispense pontificie del matrimonio rato e non consumato.
Quanto a queste ultime, dichiarò che non erano più riconoscibili nell’ordinamento dello Stato in quanto emanate a seguito di un procedimento amministrativo privo delle garanzie proprie di un procedimento giurisdizionale.
Quanto alle sentenza ecclesiastiche, la Corte stabilì che esse potevano trovare esecuzione con un procedimento nel quale si doveva verificare che nel procedimento dinanzi ai tribunali ecclesiastici fosse assicurato alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio a difesa dei propri diritti e che le sentenze non fossero contrarie all’ordine pubblico.
Entrambi questi principi sono da qualificarsi come principi supremi dell’ordinamento costituzionale.
I principi individuati nelle sentenze ora richiamate sono stati ritenuti presenti nell’Accordo di Villa Madama.
Da esso sono enucleabili due principi riguardanti l’attribuzione degli effetti civili al matrimonio canonico:
- non è possibile la trascrizione del matrimonio canonico quando, nelle stesse condizioni, risulta preclusa la celebrazione di un matrimonio civile;
- la trascrizione può avvenire solo se le parti lo vogliono, ossia non è più possibile la trascrizione su richiesta di terzi all’insaputa o contro la volontà nei nubenti.
A partire dal 1984 sono state stipulate sei intese con confessioni diverse dalla cattolica regolarmente approvate con legge, nelle quali sono stati riconosciuti gli effetti civili ai matrimoni disciplinati secondo le norme dei diversi ordinamenti religiosi, “a condizione che l’atto di matrimonio sia trascritto nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni presso la casa comunale”
I requisiti di capacità sono stabiliti dal diritto civile italiano e il ministro di culto deve leggere gli articoli del codice civile relativi ai diritti e doveri dei coniugi.
Le uniche invalidità che rilevano sono quelle stabilite per il matrimonio dal codice civile e competenti sono i tribunali civili nei modi e per le cause per cui potrebbe essere impugnato un matrimonio civile.

Tratto da DIRITTO ECCLESIASTICO di Stefano Civitelli
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