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Brevetti - limitazioni e licenze

Limitazione del diritto al brevetto

Forma di limitazione del diritto al brevetto è il principio di esaurimento comunitario (art. 5 C.P.I.), che deriva dai principi del diritto comunitario. Il principio fondamentale che gli stati membri dell’UE hanno voluto sancire con la realizzazione di questa unione, è che i paesi s’impegnano affinché la circolazione dei prodotti, merci, servizi, capitali, ecc. possono avvenire in modo libero, nell’ambito del mercato europeo. Questo è l’obiettivo, ampiamente raggiunto, dell’UE rispetto al quale, l’esistenza di una pluralità di titoli di proprietà industriale nazionali, poteva creare un problema, perché se si ha un brevetto italiano, ci si può opporre all’immissione in Italia di un prodotto realizzato all’estero, in un territorio non coperto dal brevetto. Secondo i principi nazionali della normativa brevettuale, le sole norme nazionali avrebbero legittimato i titolari dei brevetti per invenzioni, opporsi all’importazione in Italia di un prodotto messo in commercio in Francia, perché la messa in commercio del prodotto in Francia, non rientrava tra gli atti di sfruttamento dell’invenzione in Italia; siccome il brevetto italiano copre lo sfruttamento delle invenzioni in Italia, quell’atto di importazione del prodotto nel territorio italiano da parte di un soggetto diverso dal titolare del brevetto, avrebbe configurato un atto di contraffazione, anche se la messa in commercio in Francia fosse avvenuta da parte del titolare del brevetto in Italia. Questo perché l’esistenza di più brevetti nazionali, crea tante esclusive nazionali, che si prestavano a legittimare i titolari, a opporsi alle importazioni dei prodotti che loro avevano messo in commercio all’estero, sulla base di titoli brevettuali esteri, e che un importatore italiano voleva importare in Italia. Queste importazioni sono fondamentali, poiché consentono l’arbitraggio, diversi prezzi che possono esistere nei paesi europei. Se un prodotto è venduto all’estero a un prezzo più basso del prodotto che, mediamente, è usato in Italia, un importatore può fare un’operazione di arbitraggio, ossia comprare il prodotto all’estero, importarlo in Italia e rivenderlo a un prezzo che gli fa guadagnare, più basso di quello corrente italiano. Queste operazioni non piacciono a titolari dei brevetti che, per molto tempo, hanno utilizzato una pluralità di titoli nazionali per suddividere il mercato europeo in tanti mercati nazionali, e impedire l’importazione in Italia di prodotti che erano tutelati da un brevetto straniero, anche se loro erano gli stessi titolari di quel brevetto.
Questo modo di operare è stato bloccato dalla giurisprudenza comunitaria, dalle istituzioni della CE, contestando questo tipo di comportamenti, che non poteva essere legittimato dalle leggi nazionali, e hanno affermato il principio per cui, una legge nazionale non poteva essere interpretata al punto tale da consentire tali comportamenti sul principio che, una volta messo in commercio un prodotto all’estero, sulla base di un atto di disposizione di un brevetto estero da parte dello stesso titolare, questo individuo non si sarebbe più potuto opporre all’importazione di quel prodotto in Italia, anche se la messa in commercio costituiva atto di sfruttamento di un titolo brevettuale francese o spagnolo. La giurisprudenza italiana ha portato gli stati membri a modificare le loro norme nazionali, perché non possono mantenere in vita norme che si prestino a legittimare il titolare di un brevetto nazionale, a opporsi all’importazione di un prodotto in Italia che loro hanno messo in commercio all’estero, e un altro soggetto in qualità di importatore vuole introdurre in Italia. Una volta che il prodotto è stato messo in commercio dal titolare o dal suo licenziatario, egli non si può più opporre alla circolazione del prodotto in Europa. Se la prima messa in commercio del prodotto, avviene in un paese estero, estraneo alla CE (esempio: Emirati Arabi), allora ci si può opporre all’importazione in Italia del prodotto, perché la messa in commercio è avvenuta sulla base di un titolo brevettuale non italiano.

Estinzione del brevetto

L'estinzione del brevetto è la perdita definitiva dell’esclusiva.
Prima ipotesi naturale è la caduta dei 20 anni; per certi prodotti, vi è la possibilità di avvalersi di una protezione complementare che riguarda i farmaci, prodotti specifici sui quali l’esigenza di sperimentazione ha messo in luce come l’effettivo godimento dell’esclusiva è prolungato oltre 20 anni.
Seconda ipotesi è l’onere di attuazione del brevetto, dove se non si usa l’invenzione per 3 anni, sono rilasciate le licenze obbligatorie, che non rappresentano una soluzione definitiva, poiché onerose. Il legislatore pone un freno all’immobilismo dell’inventore. Il diritto dei brevetti ha una visione dinamica, che deve essere valorizzata in sede interpretativa.
Il brevetto non è un modo per bloccare l’attività produttiva degli altri, per creare ostacoli.
Terza ipotesi è il mancato pagamento delle tasse brevettuali.
Altra ipotesi può essere quella in cui, se si fa domanda di brevetto e un altro individuo vanta un diritto di priorità valevole per l’Italia, l’individuo che ha fatto domanda perde, cioè il soggetto che vanta tale diritto, ha presentato per primo domanda di brevetto in un paese aderente alla Convenzione di Parigi. Atti di disposizione del brevetto: con l’invenzione, s’acquista il diritto a chiedere il brevetto, che può essere oggetto di disposizione; si può vendere, ma la cessione del diritto al brevetto presuppone una cooperazione nella ricerca.

Trasferimento e licenza di brevetto

Gli atti di disposizione sono riconducibili a due grandi tipologie: trasferimento e licenza. Nel trasferimento si perde il brevetto, ceduto completamente a un altro soggetto. Nella licenza si mantiene il diritto di attuare e sfruttare l’invenzione, ma si permette a un altro individuo (licenziatario) di fare la medesima cosa (licenza non esclusiva); oppure concedere una licenza esclusiva di sfruttamento. Il trasferimento del brevetto può avvenire attraverso atti diversi, e l’atto più semplice è la compravendita. Si può anche trasferire il brevetto, in base a una permuta (scambio di brevetti). Altro atto di disposizione, abbastanza frequente, è il conferimento in società, dove il brevetto rappresenta un asset fondamentale, molto redditizio. Il brevetto, inoltre, è anche un diritto patrimoniale, esercitato in caso di morte del titolare. La licenza è più utilizzata del trasferimento. Non priva il titolare del diritto, ma è lui a disporre dell’uso, attribuire a un altro soggetto il diritto di sfruttare l’invenzione. Le licenze di brevetto sono molto usate, e l’uso più frequente è dare l’esclusiva di zona, un modo con il quale l’inventore può far fronte alle difficoltà di messa in commercio, da solo, di un prodotto in ambito territoriale vasto. Le parti organizzano il contratto di licenza come ritengono opportuno; contratti redatti per iscritto, clausole molto articolate. Contratti tenuti in grande riservo da parte delle imprese. Insieme alle licenze di sfruttamento del brevetto, vi sono i know how, informazione segrete che l’impresa non ha brevettato, e possono consistere in miglioramenti di alcuni passaggi produttivi e che l’impresa ha ritenuto di trattenere per se. Le licenze sono un modo con il quale si supplisce al trasferimento di prodotti. Se si devono vendere impianti o prodotti delicati da realizzare in un posto lontano, si può trasferire direttamente la tecnologia.
Questi contratti di trasferimento di tecnologia sono molto diffusi e, quando si usa la tecnologia come alternativa al trasferimento dell’impianto, il titolare del brevetto s’impegna a dare istruzioni di realizzazione delle strutture. Tali contratti possono avere finalità diverse. La licenza può essere usata dall’impresa, come modo per diffondere il prodotto in un territorio dove la stessa impresa non si può localizzare, non ha capacità produttiva, ma aumenta lo sfruttamento dell’invenzione. In altre circostanze, la licenza brevettuale può essere un ottimo strumento in sostituzione del trasferimento di un opera; siccome si hanno una serie di brevetti per la realizzazione di quest’opera, si fa un pacchetto di licenze, e l’impresa del paese estero distante, potrà realizzare l’opera fornendo delle istruzioni. Nella licenza, i corrispettivi sono pagati con royalty, canoni periodici che il licenziatario paga al licenziante. Sono una parte degli utili, che il licenziatario trae dallo sfruttamento dell’invenzione. Nel trasferimento e nella licenza, c’è l’ipotesi che, dopo che il contratto è stato concluso, viene dichiarata la nullità del brevetto. Il rilascio del brevetto non sana l’eventuale invalidità, che può essere accertata dal Giudice. Quando sopraggiunge una sentenza di dichiarazione di nullità, tale sentenza non pregiudica gli atti compiuti precedentemente, su presupposto che il brevetto fosse valido. Se c’è stata una vendita ed è stato pagato il corrispettivo, il contratto non è annullato; stesso discorso vale per le licenze e i canoni corrisposti. Fino a quando non giunge la sentenza, il brevetto gode della presunzione di validità; il fatto che poi il brevetto è dichiarato nullo, non si considera una situazione tale da dover portare nel nulla i contratti conclusi. C’è un contemperamento a tale regola, e il Giudice per ragioni equitative può disporre una restituzione, totale o parziale, dei corrispettivi pagati. Ci sono due aspetti rilevanti: l’accesso alle tecnologie da parte dei paesi emergenti, e le ripercussioni di tipo competitivo. Le licenze possono essere avere un impatto anticompetitivo nel mercato; possono creare situazioni di cooperazione tra imprese, sono rapporti di durata. Quando si concludono questi contratti, bisogna tener conto della disciplina Antitrust.

Trasferimento di tecnologie nei paesi in via di sviluppo

C’è stata una contrapposizione tra paesi emergenti che avevano bisogno delle tecnologie, acquisirle a un prezzo basso, e sostenendo la tesi che almeno certe tecnologie devono considerarsi un patrimonio generale dell’umanità, e i paesi industrializzati che hanno sempre preteso che il trasferimento delle tecnologie avvenisse dietro corrispettivo e riconoscimento della tutela brevettuale, in paesi dove l’esclusiva è riconosciuta. È emerso anche un problema di opportunismi, freeriding da parte degli operatori, che hanno spesso usato questi contratti in maniera opportunistica, vendendo tecnologie obsolete e facendole passare per tecnologie di grande pregio, obbligando i paesi a comprare più tecnologie insieme. Ciò ha creato enormi dibattiti internazionali, che hanno la sede dell’ONU, e i paesi interessati hanno introdotto delle normative ad hoc, che prevedono garanzie osservate. Il trasferimento delle tecnologie nei paesi emergenti, implica un’autorizzazione amministrativa del contratto, ossia controllerà il contratto stipulato, controlli per prevenire tali opportunismi ed è richiesta la vendita disgiunta delle singole tecnologie. Una svolta radicale del fenomeno è avvenuta con gli accordi TRIPS, che hanno imposto a tutti gli stati di riconoscere l’esclusiva sui trovati industriali; questo trattato internazionale è stato fondamentale, perché ha portato a una diffusione del diritto dei brevetti, anche in quei paesi che erano meno propensi a riconoscerlo.

Gli accordi di ricerca

La ricerca può avvenire in contesti diversi, l’impresa non è l’unica sede di ricerca ma è importante. Altre sedi sono gli enti di ricerca, che possono essere pubblici o privati; negli enti pubblici di ricerca, si ricordano le Università. A questi enti sono dedicate norme particolari, relative all’attribuzione del brevetto. Chiunque può fare ricerca, e i protagonisti principali sono appunto imprese ed enti di ricerca. Le imprese svolgono una ricerca come una fase della produzione, gli enti di ricerca si limitano alla fase di ricerca e mettono in licenza i brevetti. La ricerca avviene in modo organizzato. Le imprese possiedono dei dipartimenti di ricerca, vi sono soggetti che fanno della ricerca la loro attività esclusiva. Spetta al datore di lavoro, il brevetto realizzato dai dipendenti di un’impresa.

Cooperazione nella ricerca

Le imprese ricercano in house, ma fanno riferimento a strumenti ulteriori, che sono i contratti di ricerca.
Due categorie: contratti di cooperazione nella ricerca, in cui più operatori ricercano in comune, ognuno svolge la sua attività di ricerca (ricerca di gruppo); queste forme di cooperazione possono essere attuate dalle imprese, che devono affrontare costi di ricerca o mettere insieme conoscenze comuni per il miglioramento di un prodotto, o dagli enti di ricerca, dove si costituiscono dei veri pool di ricerca (esempio: la ricerca di una cura per nuove malattie o vaccini). La costituzione del contratto di ricerca, può avvenire in diversi modi: stipulare un contratto, ripartire le fasi della ricerca, oppure dar vita a una struttura comune che porta avanti la ricerca, e in questo caso si costituisce un’impresa comune, si realizza una joint venture, una società preposta a quest’attività comune; si finanzia insieme, si mettono i dipendenti che lavoreranno per l’impresa. Diversa situazione è l’incarico di ricerca, si ha un rapporto bilaterale, dove un soggetto incarica un altro individuo di svolgere la ricerca. Se si parla di imprese, ci si trova nell’ambito dell’esternalizzazione. L’incarico di ricerca può assumere diverse sfaccettature; esempio tipico, un’impresa incarica un’impresa specializzata di svolgere una ricerca su un aspetto dei processi di produzione. Si può incaricare un ente, oppure un soggetto pubblico, o anche imprese private. Una pubblica autorità ha l’interesse che si facciano investimenti in ricerca, ad esempio nelle fonti di energia. Entrambi gli accordi di ricerca sono molto utili, che permettono di raggiungere efficienze di tipo produttivo e allocativo. Questi contratti possono subire una ricaduta da un punto di vista concorrenziale, soprattutto i contratti di cooperazione, in senso stretto, nella ricerca; se due imprese affrontano insieme una ricerca, rinunciano a competere, e questa rinuncia è positiva, se le imprese da sole non sarebbero in grado di affrontare la ricerca. Può essere un problema, se la scelta di mettersi insieme, nasce dalla volontà di non competere e crearsi una posizione di supremazia sul mercato. Attribuzione del brevetto: il brevetto spetta a chi ha inventato. Quando c’è una partecipazione di più soggetti all’invenzione, la legge attribuisce a tutti quanti in comunione il diritto brevettuale. Siccome il diritto patrimoniale può essere oggetto di disposizione, i contratti possono definire come finiranno le prove, cioè a chi sarà attribuito il brevetto.

Contratti di committenza

Nei contratti di committenza, spesso l’invenzione è riconosciuta al committente, mentre al soggetto che svolge ricerca, è pagato un corrispettivo, accompagnato da una licenza gratuita per lo sfruttamento dell’invenzione. L’idea, che il brevetto sia attribuito al committente, è discutibile da molti, quando il committente è pubblico. Attribuire il brevetto a un soggetto pubblico, è controproducente, perché è un soggetto meno incentivato a sfruttarlo, ed è la stessa ragione per la quale, nei casi in cui, un ente pubblico di ricerca svolga in house l’attività di ricerca, s’attribuisce il brevetto al dipendente con una deroga alla regola generale dell’invenzione del dipendente. La disciplina Antitrust pone dei vincoli, perché prevede che, in caso di cooperazione nella ricerca, tutte le parti devono poter accesso allo sfruttamento dell’invenzione. Guarda, con sfavore, all’ipotesi in cui, a fronte di una cooperazione nella ricerca, i diritti di sfruttamento siano riconosciuti solo ad una delle parti, tranne quando le parti non sono pubbliche.

Tutela del segreto (art. 98 C.P.I.)

L’inventore può decidere di brevettare la sua invenzione oppure no. Ci sono cose che non si possono brevettare, e non è detto che non siano interessanti, come informazioni di natura commerciale o aziendale, un certo di modo di strutturare l’organigramma di un’azienda, od organizzare la vendita di prodotti. Non sempre è possibile tenere segrete tali informazioni, ma quando lo è per le imprese è importante che queste loro caratteristiche di operare, frutto dell’attività inventiva del management di quell’impresa, restano segrete. La tutela del segreto non brevettato è riconosciuta nel nostro ordinamento. Anche nei confronti del segreto, la legge mette in moto quelle garanzie processuali riferite al brevetto, si può agire contro la violazione del segreto industriale, avvalendosi della tutela offerta ai diritti di proprietà industriale, atteso che il segreto è qualificato come tale. La tutela che si può avere è l’inibitoria, il risarcimento, ecc. Affinchè il segreto sia tutelato, occorre che non sia svelato, abbia valore, e l’impresa si sia organizzata in modo tale che la segretezza è assicurata. Se l’impresa non riesce a mantenere il segreto, l’ordinamento non riconosce nessuna tutela. La tutela del segreto ha un limite, perché questa tutela opera nella misura in cui, qualcuno abusivamente acceda al segreto, ossia acquisisce illegittimamente il dato oggetto del segreto. Colui che non brevetta l’invenzione, non è protetto rispetto all’ipotesi in cui, un altro soggetto arrivi autonomamente alle stesse conclusioni.
Non è così assurdo che, due imprese che lavorano su linee di ricerca simili, arrivano a conclusioni equivalenti. Se si brevetta la propria invenzione, si può agire in contraffazione contro chi fa la cosa equivalente a quell’invenzione, cioè risolve lo stesso problema in modo non originario. Se si tiene l’invenzione segreta, e un altro individuo arriva allo stesso risultato e lo brevetta, ci si trova nella situazione di preuso. Quindi, il preutente potrà continuare a usare il suo segreto in preuso, ma non potrà più pretendere di avere l’esclusiva, rispetto a chi ha brevettato. Solo il titolare del brevetto, potrà prevalere. Il segreto ha un ambito di protezione più ampio dell’invenzione. Se l’invenzione non è nuova, non è segreta. La legge, inoltre, consente la tutela del segreto o know how, per cose che non si possono brevettare, poiché non qualificabili come invenzioni; è garantita la segretezza di tutto ciò che può essere dotato di valore economico, nella misura in cui resta segreto (esempio: informazioni commerciali, dati sperimentali per l’autorizzazione dell’immissione in commercio di prodotti pericolosi, esperienze tecniche industriali). L’informazione segreta può essere trasferita. Certi segreti si trasferiscono con il brevetto, altri separatamente. Questi sono le licenze di know how, contratti con il quale si trasferisce il segreto a un altro soggetto, o il diritto di usare certe informazioni segrete del titolare. Sono accorpati coi contratti di trasferimento delle invenzioni, oppure di trasferimento d’azienda, dove c’è anche il trasferimento di know how. Tutela della forma: il legislatore riconosce protezione ai segni identificativi delle imprese, alle invenzioni che permettono alle imprese di avere sistemi produttivi più efficaci o inventare nuovi prodotti (assolvono a un uso nuovo). Tutela delle idee estetiche o funzionali della forma del prodotto; idee inventive che riguardano la forma esteriore del prodotto. Forma che ha una sua protezione, diversa dall’invenzione, che prevede la concessione di titoli e possibilità di accedere a diritti esclusivi, di durata diversa. Due famiglie: forme utili e forme estetiche. La forma utile da diritto a un brevetto per modello di utilità. Le forme estetiche danno diritto a una registrazione del modello o disegno, che si realizza per questa forma.

Modello di utilità (art. 82 C.P.I.)

Si tratta di una tutela che protegge un’idea esteriore, di forma che si da al prodotto. Il modello di utilità si riferisce a un tipo di prodotto che esiste. Esempi tipici sono forme ergonomiche di poltrone, sistemi d’incastro efficienti, comodo impiego di attrezzi in termini d’impugnatura e peso dell’oggetto. Non è facile distinguere l’innovazione che da diritto al modello di utilità, dall’innovazione che da diritto all’invenzione. Il modello di utilità deve essere nuovo, forma nuova come l’invenzione, ma la differenza emerge per il tipo di originalità richiesto. Nelle invenzioni, l’originalità deve essere la soluzione originale di un problema; nei modelli di utilità, l’originalità è una particolare efficacia, comodità. Le invenzioni sono tali, anche se costituiscono la soluzione di un problema, risolto in modo diverso. L’invenzione può essere il nuovo uso, che può essere particolarmente efficace. La giurisprudenza tende ad avere un approccio qualitativo, sottolineando che il modello di utilità deve essere concesso ogni volta che l’idea inventiva non è originale, riguarda aspetti marginali. Il concetto di modello di utilità nasce da un ragionamento razionale, ossia si da una protezione diversa anche a chi migliora un qualcosa d’esistente. Il modello di utilità ha una protezione analoga a quella del brevetto, ma dura 10 anni. Disciplina simile al brevetto, e simile al brevetto, è la disciplina delle invenzioni dei dipendenti e delle licenze obbligatorie.

Tratto da DIRITTO INDUSTRIALE di Valerio Morelli
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