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IL SISTEMA DI SICUREZZA COLLETTIVA PREVISTO DALL'ONU


La Carta dell’Onu assegna al Consiglio di Sicurezza la competenza a compiere le azioni necessarie per il mantenimento dell’ordine e della pace tra gli Stati, consentendo anche l’uso della forza a fini di polizia internazionale. Tale funzione è disciplinata dal cap. VII della Carta dell’Onu e sancisce i seguenti principi.
- Il Consiglio può avviare qualsiasi accertamento per acclarare violazioni della pace o aggressioni (art 39).
- Il Consiglio può esortare gli Stati interessati a prendere misure provvisorie necessarie affinché la situazione non si aggravi.
- Il Consiglio può decretare contro uno Stato misure sanzionatorie, ma non implicanti l’uso della forza (interruzione delle comunicazioni e delle relazioni economiche da parte degli altri Stati).
- Il Consiglio può, infine, decidere di avviare azioni armate necessarie al mantenimento dell'ordine e della pace tra gli stati.
Con riferimento al primo punto, la minaccia della pace può concretizzarsi non solo attraverso azioni belliche esterne, ma anche guerra civile o decisioni politiche che violano i diritti umani.
In una Dichiarazione del 1974 l’Assemblea Generale dell’Onu ha definito il concetto di aggressione, che si manifesta in invasione o occupazione militare, anche se temporanea, bombardamento, blocco dei porti e delle coste, invio di mercenari, messa a disposizione del proprio territorio per attacchi contro il territorio altrui (aggressione armata indiretta) e altre azioni giudicate aggressive dal Consiglio. Questa definizione comunque non pregiudica le azioni dell'ONU.
Da ricordare che il cap. VI della Carta dell’Onu prevede anche una funzione conciliativa del Consiglio, che si affianca a quella assegnata dall’art. 14 all’Assemblea Generale.
L’azione del Consiglio di Sicurezza a tutela della pace si esplica in tre fasi, esposte dal cap. VII della Carta:
a. misure provvisorie (art. 40). Misure momentanee, chieste alle parti di un conflitto interessate a risolverlo, che prevengono l’aggravarsi della situazione (es.: richiesta di cessate il fuoco), e dal rispetto delle quali il Consiglio deduce se passare o meno a provvedimenti più seri. La provvisorietà di tali misure fa sì che esse non devono pregiudicare diritti, pretese o la posizione delle parti interessate. Esse sono un invito, una raccomandazione dalla natura non vincolante.
b. misure non implicanti l’uso della forza (art. 41). Il Consiglio può vincolare gli Stati membri dell’Onu ad adottare misure di varia intensità contro uno Stato che, a giudizio insindacabile del Consiglio stesso, minacci o violi la pace (es.: interruzione dei rapporti diplomatici, blocco economico totale).
c. misure implicanti l’uso della forza (artt. 42 e ss.). Si tratta della decisione ultima che implica l’uso della forza bellica contro uno Stato colpevole di aggressione, minaccia o violazione della pace o anche per intervenire in una guerra civile. Questa misura è un’azione di polizia internazionale, che può essere intrapresa con ogni mezzo militare che consenta di mantenere o ristabilire la pace. Con l’adozione di queste misure (risoluzioni operative) il Consiglio non ordina o raccomanda qualcosa agli Stati membri, ma agisce direttamente, attraverso contingenti armati nazionali, ma sotto comando internazionale facente capo allo stesso Consiglio di Sicurezza. La centralità della direzione dell’organizzazione militare garantisce l’obiettività e l’imparzialità dell’operazione e il controllo che essa sia unicamente mirata ad atti strettamente indispensabili al mantenimento della pace. Inoltre, in tal modo, si toglie qualsiasi iniziativa militare al singolo Stato che non si giustifichi, ai sensi dell’art. 51, come legittima difesa individuale o collettiva.
Non sono state mai applicate le disposizioni degli artt. 43 e ss. in base alle quali c’è l’obbligo per gli Stati membri di stipulare accordi con il Consiglio per stabilire numero, preparazione e dislocazione delle forze utilizzate poi dal Consiglio quando ve ne sia la necessità.
Sino ad ora il Consiglio è intervenuto:
a) Creando di forze di polizia (caschi blu) per il mantenimento della pace (peace keeping operations). La principale caratteristica di questo intervento è la delega da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu al Segretario Generale per il reperimento delle forze internazionali e per il loro comando attraverso accordi con gli Stati membri. Altra caratteristica è il consenso degli Stati sul cui territorio le forze Onu operano, ma spesso questo elemento manca, poiché ci si trova ad operare in territori senza più sovranità e in preda all’anarchia. Scopo delle forze che operano in peace keeping è il mantenimento della pace, facendo da cuscinetto tra i contendenti e aiutandoli a ristabilire condizioni di sicurezza da cui far scaturire negoziati. Esse non possono utilizzare le armi, se non per legittima difesa (uso limitato della forza). Sovente agiscono in accordo con il personale civile dell’Onu che lavora in loco per il ristabilimento della normale vita politica e istituzionale dopo una guerra civile, attraverso la creazione di organi democratici e lo svolgimento di libere elezioni.
Di fatto, dopo gli insuccessi delle spedizioni in Somalia e Jugoslavia, la peace keeping è sempre meno utilizzata e il Consiglio di Sicurezza è orientato ad autorizzare l’impiego di contingenti militari da parte degli Stati membri sotto il proprio controllo.
b) tramite delega dell'uso della forza da parte di Stati singoli: diverse volte, durante la guerra fredda e negli anni ’90, il Consiglio, anziché utilizzare l’ipotesi precedente, ha autorizzato gli Stati ad usare la forza contro o all’interno di un altro Stato, lasciando loro comando e controllo delle operazioni, sia pure sotto la sua autorità. In due casi si è trattato di vere e proprie guerre (Corea del Sud – 1950; Kuwait – 1991). Usi minori della forza, coadiuvati da misure non implicanti l’uso della forza e da operazioni di peace keeping, sono stati utilizzati nel 2001 in Afghanistan a sostegno del governo post-talebano.
Tale delega, con cui il Consiglio sembra spogliarsi della responsabilità, non rientra nei casi previsti dagli artt. 42 e ss., ma piuttosto nell’art. 51, quando riconosce il diritto di legittima difesa collettiva per respingere un attacco armato. Tuttavia, sempre più spesso si registrano interventi in situazioni di guerra civile, ossia quando non è possibile ravvisare una precedente aggressione armata di uno Stato contro un altro. → Per cui si può ritenere che la delega agli Stati è prevista da una regola non scritta che si è andata affermando nella prassi.
c) tribunali internazionali per la punizione dei crimini di guerra. Tribunali per i crimini di guerra e contro l’umanità commessi in ex Jugoslavia (sede Aja) e in Ruanda (Arusha). La legittimità di queste corti, per esperienza recente, si troverebbe fuori della Carta dell’Onu, anche se, secondo il Tribunale per l’ex Jugoslavia, essa deriverebbe dall’art. 41, in quanto misura atipica non implicante l’uso della forza. Per Conforti è più plausibile riportare i due Tribunali all’art. 24, in quanto diritto dei belligeranti e misura bellica esercitata dalle Nazioni Unite in nome della comunità internazionale.
d) creazione di amministrazioni territoriali post-belliche. Istituzioni e governi locali temporanei, ovvero una sorta di occupatio bellica sia pure motivata da interessi superiori, di solito affidata all’Onu o alla Nato. La funzione è quella di favorire lo sviluppo della democrazia e dell’autogoverno, al fine di trasferire alle istituzioni locali, in un tempo ragionevole, il potere detenuto da quelle provvisorie. A questa misura si affiancano azioni di coordinamento con forze militari.
Del sistema di sicurezza collettiva, facente capo al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, fanno parte anche le organizzazioni regionali (es.: Nato, Osce, Lega Stati Arabi, Oua, ecc.) create allo scopo di sviluppare la cooperazione tra gli Stati membri, provvedere alla soluzione delle controversie e promuovere la difesa comune verso l’esterno. In base all’art. 53 della Carta, le organizzazioni regionali appaiono come organi decentrati dell’Onu. Qualsiasi azione coercitiva da esse intrapresa deve essere autorizzata, infatti, dal Consiglio di Sicurezza. Esse si inseriscono anche nel concetto di legittima difesa individuale e collettiva prevista dall’art. 51, che ammette la reazione ad un attacco armato sia da parte del solo Stato attaccato, sia da parte di Stati terzi, tanto più se uniti al primo da alleanze difensive su scala regionale. Le organizzazioni possono agire coercitivamente contro uno Stato anche senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, se si risponde con urgenza ad un attacco armato già sferrato.

Tratto da DIRITTO INTERNAZIONALE di Alice Lavinia Oppizzi
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