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Eccesso colposo nelle cause di giustificazione: art. 55 c.p.


Occorre distinguere se l’eccesso è realizzato nella consapevolezza o no di oltrepassare i limiti della scriminante.
Nel primo caso (eccesso doloso), nessun problema, poiché l’agente risponderà del fatto non giustificato a titolo doloso.
Nel secondo caso, il fatto, pur essendo volontario, è realizzato nella consapevolezza di una scriminante di cui inconsapevolmente si oltrepassano però i limiti di giustificazione per un errore di valutazione di questi ultimi.
La situazione è del tutto analoga all’ipotesi di fatto realizzato nell’erronea supposizione dell’esistenza di una scriminante, e anche il trattamento è conseguentemente il medesimo => se l’eccesso non è attribuibile a colpa il soggetto non sarà responsabile per mancanza dell’elemento soggettivo.

Eccesso colposo e travalicamento dei limiti


Esso si configura ogni qualvolta esistono i presupposti di fatto della causa di giustificazione, ma il soggetto ne travalica i limiti => è ciò che differenzia tale ip. da quella ex art. 59 c.p. dove la causa di giustificazione non sussiste ed è solo l’agente che, per errore, la ritiene esistente.
L'art. 55 c.p. disciplina l'ipotesi in cui, nel commettere «alcuno dei fatti preveduti dagli artt. 51, 52, 53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall'ordine dell'Autorità ovvero imposti dalla necessità», stabilendo che «si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi (si siano superati per imprudenza, negligenza, imperizia, inosservanza di leggi, regolamenti, ordini (cioè per colpa), i limiti dell’agire consentito dalla scriminante o esimente), se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo».
L'eccesso nella causa di giustificazione può assumere una duplice configurazione.
In primo luogo, esso può dipendere dalla erronea valutazione dell'agente, il quale, pur agendo in presenza dei presupposti scriminanti, ritiene necessario, o comunque consentito, un comportamento che fuoriesce in realtà dai limiti della giustificazione (es. Tizio crede che per bloccare l'aggressione di Caio occorra ucciderlo, mentre in realtà è sufficiente tramortirlo).
L'ipotesi si differenzia da quella dell'art. 59 co. 4, perché in quest'ultima l'agente si rappresenta come sussistente una situazione scriminante che in realtà non esiste.
In secondo luogo, l'eccesso può dipendere dal fatto che l'agente non riesce a contenere la propria condotta nei limiti della scriminante, per inabilità, concitazione o per qualsiasi altra causa inerente all'esecuzione del fatto (es. Tizio, pur consapevole che per bloccare Caio è sufficiente tramortirlo, ne provoca la morte colpendolo con troppa energia al capo).
Nel primo caso si parla di eccesso nel fine, nel secondo di eccesso nei mezzi.
L'eccesso, non potendo, per definizione, essere ricompreso nell'ambito della causa di giustificazione cui si riferisce, dà luogo ad un fatto obiettivamente antigiuridico.
Ma esso può determinare una responsabilità dell'agente soltanto qualora il travalicamento dei limiti della scriminante sia dovuto a colpa, e sempre che il fatto sia preveduto dalla legge come delitto colposo.
Nulla esclude peraltro, in linea di principio, che l'eccesso possa anche risultare incolpevole (es., quando lo sparo, indirizzato correttamente dall'aggredito verso parti non vitali, abbia cagionato la morte dell'aggressore per il suo improvviso spostamento), nel qual caso esso andrà esente da pena.  
Nel nostro sistema la valutazione della sussistenza della colpa dovrà tener conto anche della situazione emotiva nella quale il soggetto si è trovato ad agire.

Antigiuridicità ed illiceità speciale


L'antigiuridicità (o illiceità) speciale è data dalla presenza, fra i requisiti costitutivi del fatto tipico, di elementi che di per sé implicano una qualificazione in termini di illecito, in forza di una norma diversa da quella incriminatrice.  
Così, ad es., nell'art. 62l1 c.p. è punita la rivelazione “senza giusta causa” del contenuto di documenti segreti, quando l'agente ne sia venuto a conoscenza “abusivamente”; nell'art. 6381 c.p. l'uccisione o d danneggiamento di animali altrui è punito qualora avvenga «senza necessità».
Si tratta in pratica di elementi normativi del fatto tipico, caratterizzati per il peculiare connotato di illiceità rispetto al loro parametro di qualificazione (che può peraltro essere giuridico, come nel caso dell'art. 6211 c.p., o extragiuridico, come nel caso dell'art. 6381 c.p.).
L'antigiuridicità speciale si distingue dall'antigiuridicità espressa, la quale, pur presentandosi in forma del tutto analoga alla prima, non è costituita da un elemento intrinsecamente illecito, ma si risolve in un richiamo (dogmaticamente superfluo) alla esigenza che il fatto sia commesso in assenza di cause di giustificazione.
Così, ad es., nell'art. 6331 c.p. l'invasione di terreni e edifici avviene “arbitrariamente” non quando la condotta sia di per sé illecita, a prescindere dalla sua previsione tipica (come accade, ad es., per la cognizione «abusiva» del documento nell'art. 6211 c.p., cui è subordinata la rilevanza della successiva rivelazione), ma semplicemente quando sia tenuta in assenza di cause di giustificazione.  La distinzione ermeneutica delle due situazioni nelle diverse ipotesi specifiche è spesso, peraltro, assai controversa.

Le singole cause di giustificazione

Le cause di giustificazione sono tutte riconducibili a norme che attribuiscono facoltà o impongono doveri.
In un primo schema, l’ordinamento configura tutta una serie di facoltà o doveri in funzione strumentale per la realizzazione di determinati interessi. In vari casi, il legislatore extrapenale può fornire una disciplina di attuazione, realizzazione e concretizzazione di un interesse particolare, e questa stessa disciplina può eventualmente venire a sovrapporsi parzialmente con quella di una norma incriminatrice => uno dei comportamenti riconducibili all’esercizio del diritto o all’adempimento del dovere configurati dal legislatore extrapenale può coincidere con un comportamento vietato dalla legge penale: in ogni caso però la norma extrapenale è espressione diretta di uno specifico interesse perseguito o riconosciuto dall’ordinamento.
Le valutazioni “sostanziali” circa il rapporto tra le norme, sono riassorbite dalla previsione della norma autorizzatoria o impositiva del dovere e della posizione di prevalenza che essa può vantare rispetto a quella incriminatrice in virtù della sua specialità  o della sua superiorità gerarchica o della sua posteriorità cronologica ovvero infine della sua voluntas legis come interpretativamente accertata. Questo schema logico è quello che sta alla base delle cause di giustificazione dell’esercizio del diritto e dell’adempimento del dovere (artt. 51/53 c.p.).

L’altro schema logico è quello che sta alla base delle cause di giustificazione della legittima difesa, (art. 52 c.p.), dello stato di necessità (art. 54 c.p.) e anche del consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.).
Nello stato di necessità: in esso il legislatore si è dato carico di precisare gli estremi del conflitto tra i due interessi in gioco in termini di necessità: il comportamento criminoso è autorizzato e dunque giustificato solo alla condizione che sia “necessario“, indispensabile, per salvare l’interesse in pericolo.
Nella legittima difesa si presenta lo stesso schema con le sole varianti che la condotta attiva di salvataggio consiste in una difesa rivolta contro l’aggressore e che l’interesse difeso può essere qualsiasi (anche patrimoniale), purché sussista proporzione tra i due interessi in gioco.   
Nel consenso dell’avente diritto si presenta lo stesso schema in cui la facoltà di compiere il fatto tipico è conferita in ragione del contrapposto interesse che il titolare del bene ha a quel comportamento.
Le tre norme che riguardano queste fattispecie si presentano come fattispecie “aperte” in quanto non definiscono direttamente i comportamenti giustificati.

Tratto da DIRITTO PENALE di Beatrice Cruccolini
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