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I principali problemi applicativi dell'art. 2 c.p.


campo di applicazione

A) Il primo problema è quello del campo di applicazione dell'art. 2 c.p.
Si ritiene che il divieto di applicazione retroattiva della legge più sfavorevole impedisce che una misura di sicurezza o di prevenzione possa trovare applicazione in rapporto, rispettivamente, ad un reato o ad un fatto indiziante la pericolosità per il quale non era prevista al momento della sua commissione.  Per il resto, invece, la legge successiva disciplinante una nuova misura di sicurezza o di prevenzione ovvero la loro esecuzione, così come una legge modificativa dell'esecuzione penitenziaria o della disciplina processuale, trova applicazione alle situazioni in atto nonostante sia più sfavorevole.

tempus commissi delicti

B) Il secondo problema è quello del tempus commissi delicti.
Infatti, presupposto indispensabile all'individuazione della legge applicabile secondo le disposizioni dell'art. 2 c.p. è la preliminare individuazione del momento in cui deve considerarsi realizzato il reato.
Nel silenzio legislativo sul punto, e in coerenza con la ratio dei principi della successione di leggi penali nel tempo, si ritiene che questo momento sia quello di realizzazione della condotta tipica del reato (e non dell'evento, quando previsto dalla fattispecie). Se si tratta di condotta omissiva, il momento del commesso reato è quello di scadenza del termine. E se la condotta avesse una durata, il momento di realizzazione del reato ai fini dell'art. 2 c.p. si identifica con quello in cui la condotta assume il carattere della tipicità:
inizio della consumazione nel reato permanente,
realizzazione del primo atto ripetitivo che segna l'inizio della abitualità nel reato abituale.

modifiche mediate

C) Il terzo problema è il caso in cui la successione di leggi riguardi non già la norma incriminatrice di una determinata fattispecie astratta, bensì una norma richiamata da quella incriminatrice, che concorre così indirettamente ad individuare e selezionare il fatto penalmente rilevante sulla base delle caratteristiche storico-concrete del fatto realizzato (c.d. modifiche mediate).
Es. fattispecie della calunnia (art. 368 c.p.), che punisce chi, rivolgendosi all'autorità giudiziaria, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente. Il riferimento al 'reato', del quale viene incolpato l'innocente, implica un richiamo di tutte le norme penali incriminatrici, che concorrono cosi indirettamente alla individuazione dei fatto punibile di calunnia descritto dall'art. 368 c.p. Questo richiamo diventa effettivamente “operativo” solo in relazione alle caratteristiche concrete del fatto d'incolpazione.
Es. se Tizio incolpa Caio di avere avuto 'illeciti' rapporti sessuali con Sempronia, si tratterà di verificare se il fatto di cui Caio è (falsamente) incolpato è un semplice illecito civile come l'adulterio oppure un reato, e quale: una violenza sessuale, un incesto, un atto osceno.
E consentiranno, dunque, di individuare nell'art. 609 bis o 564 o 527 c.p. la norma effettivamente richiamata nel caso concreto dall'art. 368 c.p. e come tale concorrente, seppure indirettamente, alla qualificazione penale dei fatto commesso dal calunniatore.
Lo stesso fenomeno di integrazione tra la fattispecie incriminatrice e altre norme da questa richiamate e concorrenti così alla individuazione e selezione dei fatti punibili, si realizza ad esempio nella truffa aggravata dall'essere commessa a danno di un "ente pubblico" (art. 640.1, n. 1, c.p.):  per sapere se in concreto ci si trova di fronte ad un ente pubblico, occorrerà richiamare tutta la normativa anche secondaria che disciplina l'ente danneggiato.
La grande incertezza del criterio della persistenza del disvalore penale del fatto ha condotto all'elaborazione di una terza e preferibile soluzione. Anche il fenomeno delle modifiche "mediate" è stato ricondotto alla successione delle leggi penali nel tempo, ritenendole di conseguenza assoggettate alla disciplina dell'art. 2 c.p. e ai principi costituzionali ad essa sovraordinati senza distinzioni di sorta.  E questa sembra invero la soluzione più coerente ed armonica coi principi di eguaglianza e di garanzia che governano la successione di leggi penali nel nostro ordinamento.
Ciò che sembra essere davvero essenziale è la differenza di trattamento giuridico-penale che per lo stesso fatto consegue alla modifica legislativa seppure "mediata".
Il principio generale sovraordinato all'intera materia esige che trovi applicazione quella normativa da cui discende il trattamento più favorevole.

abolitio criminis e successione modificativa

D) Il quarto problema concerne la reciproca delimitazione dei campi di applicazione, rispettivamente, dell'art. 2 co. 2-3 c.p., cioè dell'abolitio criminis e della successione solamente modificativa. 
Non sempre all'abrogazione di una norma incriminatrice consegue la totale irrilevanza penale del fatto ivi previsto: anzi, si constata di frequente come l'abrogazione di una norma incriminatrice sia accompagnata dall'introduzione di nuove fattispecie con le quali il legislatore intende dare un nuovo assetto alla disciplina di una determinata materia, oppure come la fattispecie oggetto di apparente abolitio criminis vada a ricadere nell'ambito applicativo di altra preesistente e più ampia di quella abrogata. 
Inoltre, fermo restando il principio della retroattività della legge più favorevole, la specifica disciplina normativa di quel principio è diversa a seconda che si tratti di vera e propria abrogazione di una precedente incriminazione oppure solamente di modifica più favorevole. Nel primo caso la retroattività è assoluta in quanto travolge anche l'eventuale sentenza definitiva che abbia condannato in base alla norma poi abrogata. Nel secondo caso la retroattività incontra il limite della sentenza definitiva.

Da ciò discende l'importanza prima di tutto pratico-applicativa di accertare con precisione quando ci si trovi di fronte ad un fenomeno realmente abrogativo di precedente incriminazione ovvero di semplice modificazione. Il problema si pone in realtà solo quando la modifica legislativa successiva riguardi gli elementi di struttura della fattispecie, essendo ogni altra modificazione di aspetti diversi della disciplina (come ad esempio le circostanze, la misura e la specie della pena, ecc.) qualificabile sicuramente come un fenomeno di successione solamente modificativa.

CRITERI RISOLUTIVI

Principali criteri elaborati per risolvere il problema:
1. Criterio del c.d. fatto concreto, in base al quale:
se il fatto storico costituisce reato sia alla luce della precedente legge sia alla stregua della legge successiva saremo m presenza di una successione meramente modificativa, con conseguente applicazione dell'art. 2 co. 3 c.p.
se il fatto era previsto come reato sia dalla prima che dalla seconda legge, ciò mostrerebbe chiaramente che vi è una continuità di giudizio di disvalore da parte del legislatore, tale da giustificare pienamente la più rigorosa disciplina del co. 3 piuttosto che del co. 2 dell’art. 2  c.p. Sennonché, ai fini di ogni problema di “rilevanza giuridica”, ciò che conta è la configurazione legislativa 'tipica" del fatto, la fattispecie astratta, insomma, più che il fatto concreto.
2. Criterio della continuità del tipo di illecito.
Il limite concerne un’imprecisione applicativa. Es. recente riforma dei delitti sessuali (l. 66/1996), ove a fronte della sostanziale identità della materia si constata un mutamento testuale del bene tutelato, sul quale fra l'altro il parlamento ebbe lungamente (e in parte inutilmente) a discutere: dalla moralità pubblica e buon costume alla libertà della persona.
3. Criterio più rigoroso fa leva sul rapporto strutturale tra le due fattispecie astratte sulla cui successione si discute. Alla stregua di tale criterio, una situazione di successione meramente modificativa (co. 3) vi è tutte le volte in cui il fatto storico risulti essere previsto da due fattispecie tra loro in rapporto di specialità. La condizione che il fatto storico ricada nell'area di illiceità sottesa e comune ad entrambe le fattispecie in rapporto di specialità, garantisce la potenziale riferibilità non solo di entrambe al medesimo fatto storico, ma anche una sorta di “contenenza” del contenuto di disvalore dell'una nell'altra.
In via del tutto eccezionale gli esiti del criterio strutturale possano essere smentiti dal criterio di valore della continuità della valutazione legislativa. Ciò accade quando, in via interpretativa, si debba concludere che, nonostante la nuova disposizione sia speciale rispetto a quella abrogata, il legislatore ha con ciò inteso procedere ad una vera e propria abolitio dell'incriminazione precedente.


Tratto da DIRITTO PENALE di Beatrice Cruccolini
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