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Il concorso e l'effettiva esistenza del reato

Il concorso e l'effettiva esistenza del reato


Per la sussistenza del concorso deve aversi un reato: è necessario e sufficiente che esso integri gli estremi del tentativo, mentre non è richiesto che in concreto l’autore del reato sia punibile perché basta la realizzazione di un fatto oggettivamente antigiuridico.
Nelle condotte di almeno uno dei compartecipi debbono sussistere gli estremi di una fattispecie obiettiva monosoggettiva: quanto meno il tentativo di un delitto (concorso nel reato consumato o nel delitto tentato).
Per aversi realizzazione dell’elemento oggettivo del reato non è sufficiente il semplice accordo o la semplice istigazione quando non siano seguiti dalla commissione del reato.
Non è dunque rilevante il tentativo di concorso, e cioè l'attività svolta al fine di concorrere, qualora il reato non sia commesso. 
Il principio si desume, oltre che dall'art. 110 («concorrono nel medesimo reato»), dall'art. 115, che dichiara la non punibilità dell'accordo e dell'istigazione non seguiti dalla commissione del reato concertato o istigato, ammettendo solamente che tali condotte possano essere valutate come sintomo di pericolosità ai fini dell'eventuale applicazione di una misura di sicurezza (art. 115 co. 2-3-4), costituita dalla libertà vigilata (art. 229 n. 2).
La distribuzione fra i compartecipi dell'attività tipica secondo la fattispecie monosoggettiva è, in linea di principio (salvo il caso di taluni reati propri) irrilevante: la condotta può riferirsi ad un solo concorrente (ad es.: mandante,di un omicidio, esecutore), a ciascuno di essi (ad es.: omicidio realizzato congiuntamente da due persone ciascuna delle quali spara un colpo sufficiente a determinare la morte), o essere distribuita tra più concorrenti (esecuzione frazionata, come nell'es. della rapina o nell'ipotesi di un omicidio commesso da più soggetti infliggendo ferite che risultano letali solo nel loro insieme).
La consumazione del reato o la definitiva cessazione degli atti di tentativo segna il limite cronologico della condotta concorsuale, che non può essere tenuta post patratum crimen (ad es., ratificandolo).
In ogni modo, la promessa di un aiuto da prestarsi dopo il compimento del reato può assumere di per sé rilevanza concorsuale (a prescindere dal fatto che tale aiuto sia poi effettivamente fornito).  L'attività prestata in favore del reo dopo la commissione del reato, fuori di una precedente attività concorsuale, può inquadrarsi nelle fattispecie del favoreggiamento personale (art. 378) o reale (art. 379), o in quella di ricettazione (art. 648) o di «riciclaggio» di danaro o valori (art. 648 bis, nonché art. 648 ter).

Il fatto tipico del concorso di persone: c) Il contributo obiettivamente rilevante. La forma attiva.
 
Il contributo causale non deve necessariamente essere prestato dall’inizio della realizzazione del reato: può intervenire anche “in corso d’opera”, purché vi sia la consapevolezza di contribuire, anche, in minima parte, “alla realizzazione di una più articolata fattispecie”.
Il punto dolente della teoria del concorso è costituito dall'identificazione obiettiva della condotta concorsualmente rilevante.
L'art. 110 si limita infatti a dichiarare che «quando più persone concorrono..., ciascuna di esse soggiace alla pena...»; ma non precisa in che cosa consista il fatto di concorrere. 
Su questo terreno si gioca, nel sistema, la definizione dei limiti estremi tra lecito ed illecito, i quali sono appunto tracciati in funzione della rilevanza concorsuale della condotta intrinsecamente atipica rispetto alla fattispecie incriminatrice monosoggettiva. 
La clausola generale dell'art. 110 rischia dunque di risultare pericolosamente indeterminata, se non intervengono solidi criteri concettuali capaci di definirne la portata.

Tratto da DIRITTO PENALE di Beatrice Cruccolini
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