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ART.28 Decreto 39/2010

Norme che riguardano questi fenomeni quando realizzati dai revisori.
Fino all’inizio di quest’anno l’analisi di queste norme si chiudeva con una postilla che prevedeva l’introduzione nel Testo unico della finanza di un articolo che sanziona la corruzione dei revisori. La norma puniva una serie di soggetti i quali nell’esercizio della revisione contabile di quotate o società che ricorrono alla sollecitazione del pubblico risparmio, per denaro o altra utilità data o promessa, compiono o omettono atti in violazione degli obblighi inerenti all’ufficio. Questo articolo era il 174 ter del TUF, con il quale il legislatore aveva tagliato fuori l’evento di danno. Si punisce l’accordo, si tratta di una vera e propria corruzione, e si punisce severamente, da 1 a 5 anni. Non si prevede la procedibilità a querela, sono tutti fatti procedibili d’ufficio.
Nel 2010 la norma della corruzione dei revisori nel TUF viene abolita e diventa l’art.28 del decreto 39/2010.
Il contenuto del 1 comma dell’art.2635 è diventato il comma 1 dell’art.28 del decreto. Però non c’entra nulla con la corruzione vera e propria, ma è un’ipotesi di infedeltà patrimoniale dei revisori. Tra l’altro si parla di nocumento alla società, ma quale società: Quella sottoposta a revisione o la società di revisione stessa: Interpretando dal punto di vista storico il riferimento sembra essere alla società assoggettata a revisione.
Il comma 2 trasfonde il contenuto dell’art. 174 ter: i soggetti attivi non sono solo i responsabili della revisione legale, ma anche i componenti dell’organo di amministrazione, i soci e i dipendenti della società di revisione. Per questi fenomeni di corruzione non ci si ferma quindi al singolo revisore, colui che mette la firma. Questi soggetti nell’esercizio della revisione legale dei conti di società quotate per denaro o altra utilità data o promessa compiono o omettono atti contrari all’obbligo del loro ufficio sono puniti con la reclusione da 1 a 5 anni. Questa è una vera e propria corruzione.
La modifica riguarda la procedibilità, perché nel 3 comma c’è scritto che si procede d’ufficio, anche per le ipotesi di cui al 1 comma (che invece nel vigore dell’art.2635 erano procedibili solo a querela).
C’è un possibile paradosso, che prima era nel rapporto tra il 174 ter e l’art.2635 e oggi è tra il 1 e il 2 comma dell’art.28: se il revisore di società di interesse pubblico non solo si fa corrompere ma cagiona nocumento alla società, quindi realizza l’ipotesi del 1 comma, che pena bisogna applicare: Eppure la pena del 2 comma è ben più grave della pena del 1. Anche qui può sostenersi che al revisore che oltre a farsi corrompere, cagioni un nocumento alla società, si possono applicare entrambi i reati. Per i revisori si procede d’ufficio.
Il decreto 39 ripropone delle norma che c’erano da diversi anni e che hanno natura residuale contenute negli art. 30 – compensi illegali ai revisori e 31 – illeciti rapporti patrimoniali con la società assoggettata a revisione.
L’art.30 riguarda i soggetti interni alla società di revisione che percepiscono direttamente o indirettamente compensi in denaro o in altra forma dalla società sottoposta a revisione oltre i compensi legittimamente pattuiti. Se queste dazioni extra sono legate alla violazione di un dovere del revisore si applica la corruzione o l’infedeltà patrimoniale se non siamo in enti di interesse pubblico. Qui si fa riferimento solo alla percezione di compensi ulteriori rispetto a quelli legittimamente pattuiti. Se si ipotizza questo reato si possono mettere sotto controllo le conversazioni, perché su base documentale è impossibile stabilire quando c’è un compenso illegale.
Il 2 comma dell’art.30 dice che la stessa pena va applicata a chi dà il compenso.
L’art.31 prevede che non ci si può fare prestare garanzie per debiti propri se si fa i revisori o contrarre prestiti in qualsiasi forma con la società assoggettata a revisione o con società che fanno parte dello stesso gruppo.

Tratto da DIRITTO PENALE COMMERCIALE di Valentina Minerva
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