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Requisiti per la validità del consenso nella legittima difesa


Perché il consenso sia valido devono sussistere alcuni requisiti relativi ad oggetto, soggetto e formazione dell’atto di volontà:
a. oggetto, il diritto deve essere disponibile, i diritti si dividono in:
- assolutamente disponibili, diritti patrimoniali;
- assolutamente indisponibili, diritti alla vita, interessi diffusi o collettivi e interessi pubblici;
- relativamente disponibili, integrità fisica, libertà, onore;
In base al dettato dell’art. 5 c.c. si ritiene che questi diritti siano disponibili al di sotto della menomazione permanente, mentre al di sopra di tale limite solo in casi ritenuti meritevoli dal legislatore, come per la sterilizzazione.
b. soggetto, l’avente diritto, cioè colui che trarrebbe offesa dal fatto senza il suo consenso, deve avere la capacità naturale di intendere e di volere al momento in cui presta il consenso.
Tutte le altre presunzioni di capacità non trovano applicazione.
Il requisito della capacità di agire può essere richiesto in casi particolari.
Il consenso per rappresentanza è valido, ma in caso di contrasto tra rappresentante e rappresentato prevale la volontà del titolare del bene.
c. atto di volontà, deve riguardare l’intero fatto tipico e non deve essere viziato da violenza, errore o dolo.
Non occorre né che il soggetto attivo, che poi porrà in essere in fatto tipico, ne sia a conoscenza, né che sia espresso.
L’atto di volontà deve sussistere al momento del fatto, se non vi era non è possibile una sorta di ratifica successiva del reato da parte dell’avente diritto.
Quando è putativo, cioè erroneamente creduto esistente dal soggetto attivo, allora quest’ultimo non è responsabile per dolo ma casomai per colpa.
L’atto di volontà presunto si ha quando l’avente diritto non lo ha potuto manifestare, ma il soggetto agente presume che, potendo, lo avrebbe fatto: è un caso la violazione di domicilio per spegnere un incendio.
Il consenso presunto è invalido, ma quando il fatto tipico porta un vantaggio all’avente diritto si ritiene che l’azione del reo possa rientrare tra le cause di giustificazione relative all’esercizio di diritti o adempimento di doveri e quindi l’imputabilità e esclusa.
Il consenso come scriminante di un reato colposo è un problema assai complesso.
C’è chi la esclude in quanto nei reati colposi il risultato non è voluto dal soggetto attivo, mentre col consenso avente diritto e soggetto attivo incontrino le proprie volontà sullo stesso oggetto.
C’è poi chi, data la non necessaria conoscenza del consenso da parte del soggetto attivo, ritiene che possa sussistere l’effetto scriminante.
Il consenso dell’avente diritto crea, praticamente, una facoltà in capo al soggetto attivo il quale è giustificato, oltre perché agisce col consenso dell’avente diritto, anche in quanto agisce nell’esercizio di un diritto o  adempimento di un dovere.
Gli artt. 50-52-54 c.p. sono norme generali e rivolte a tutte le fattispecie concrete in quanto non hanno quella specialità tipica delle norme extra-penali.

Tratto da DIRITTO PENALE: PRINCIPI E DISCIPLINA di Stefano Civitelli
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