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I codici italiani di procedura penale


Il 1° maggio 1848, nello Stato del Piemonte, entrò in vigore il codice di procedura penale, che accoglieva il modello napoleonico.
Nel 1859 venne promulgato un nuovo codice basato sempre sul sistema misto, codice che venne esteso, con alcune modifiche, nel 1865 al Regno d’Italia.
Il primo codice di procedura penale italiano è datato 1913, il quale, pur conservando il sistema misto, innovava rispetto al modello napoleonico, in quanto riconosceva ampi diritti all’accusato già nel corso della fase istruttoria: il difensore dell’imputato aveva il diritto ad assistere a larga parte degli atti e di prendere visione dei verbali.
In definitiva, durante l’istruttoria restavano segrete soltanto le testimonianze.
Nel dibattimento fu introdotta la giuria popolare che giudicava sul fatto, mentre i giudici togati determinavano la quantità della pena.
Al termine della prima guerra mondiale, Mussolini cancellò la separazione dei poteri e provvide a riformare i codici.
Quello di procedura penale fu promulgato nel 1930 insieme al codice penale, entrarono in vigore nel 1931.
Il diritto di difesa fu eliminato nella fase istruttoria, che tornò ad essere totalmente segreta; e il PM, dipendente dell’esecutivo, ottenne gli stessi poteri coercitivi del giudice istruttore.
Infatti il Pubblico Ministero conduceva una sua istruzione, detta sommaria; mentre il giudice istruttore nella c.d. istruzione formale, procedeva d’ufficio alla ricerca delle prove, che assumeva in segreto, e decideva se rinviare l’imputato a giudizio.
Infine il giudice del dibattimento nella decisione poteva utilizzare tutti i verbali degli atti raccolti nelle fasi anteriori.
Le conseguenze sistematiche furono disastrose: si abbandonava per la prima volta il principio della separazione delle funzioni processuali, grande conquista dell’epoca napoleonica, per tornare sostanzialmente ad un sistema prevalentemente inquisitorio.
Tra le altre modifiche ricordiamo la facoltà del Pubblico Ministero di archiviare direttamente le denunce senza chiedere l’autorizzazione al giudice, con la quale il potere esecutivo poteva bloccare fin dall’inizio i processi penali nei confronti degli “amici” del partito al potere.
Fu abolita la giuria popolare e al suo posto fu introdotta la Corte d’Assise, composta da 2 giudici togati e 5 cittadini, che deliberava sia sul fatto, sia sulle questioni giuridiche.

Tratto da DIRITTO PROCESSUALE PENALE di Stefano Civitelli
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