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Il privilegio contro l’autoincriminazione


Secondo la regola generale il testimone ha l’obbligo di rispondere secondo verità alle domande nel corso dell’esame.
Tuttavia può accadere che le parti, durante l’esame incrociato, formulino domande che potrebbero indurre il testimone ad autoincolparsi di qualche reato.
In tali casi se il testimone fosse obbligato a rispondere secondo verità si troverebbe in una penosa alternativa: rispondere incriminando se stesso oppure dire il falso e commettere falsa testimonianza.
Il codice, quindi, tutela il testimone che si trova in questa situazione, stabilendo che egli non può essere obbligato a deporre su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale.
Il privilegio comporta l’esenzione dal regime ordinario, che è appunto l’obbligo di deporre.
Il teste ha diritto di non rispondere a tutte le domande che concernono quei fatti, il presupposto è la semplice probabilità che dalla risposta su di un determinato fatto possa derivare la responsabilità penale del dichiarante, ma non la semplice responsabilità civile o amministrativa che non comportano il privilegio.
Alla posizione soggettiva del teste non corrisponde, a carico di chi lo interroga, l’obbligo di informarlo che può non rispondere, né è vietato alle parti fare domande autoincriminanti al testimone: non sempre esse sanno che la risposta porterebbe a incriminarlo.
In ogni caso, il testimone è libero, se crede, di rispondere.
Il divieto probatorio contro l’autoincriminazione ha come destinatario il giudice in quanto gli vieta di obbligare il teste a parlare, a pena di inutilizzabilità.
Quando il testimone rifiuta di rispondere ed oppone il privilegio, deve dare una giustificazione allo stesso, con l’ovvio limite che non può essere obbligato a precisare troppi dettagli.
Il giudice valuta le giustificazioni adottate e, se le ritiene infondate, può rinnovare al testimone l’avvertimento che ha l’obbligo di dire la verità.
A questo punto il testimone può persistere nel rifiuto rischiando che gli sia contestato il delitto di falsa testimonianza per reticenza.
Tuttavia, se nel procedimento per falsa testimonianza si accerta che tale soggetto effettivamente aveva il privilegio contro l’autoincriminazione, deve essere assolto.
Se il testimone dà risposte autoincriminanti, cioè rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l’autorità procedente, e cioè in questo caso il giudice, deve per prima cosa interrompere l’esame; in secondo luogo deve avvertire il soggetto che, a seguito di tali dichiarazioni, potranno essere svolte indagini nei loro confronti; infine deve invitarlo a nominare un difensore.
Quanto al valore probatorio delle precedenti dichiarazioni, il codice prevede una inutilizzabilità soggettivamente relativa: cioè possono essere usate nel procedimento in cui sono rese ma non in quello che si aprirà nei confronti del dichiarante.
La ratio è quella di tutelare il privilegio contro l’autoincriminazione.

Tratto da DIRITTO PROCESSUALE PENALE di Stefano Civitelli
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