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L’esame dell’imputato nel processo penale


L’esame ha luogo soltanto su richiesta o consenso dell’interessato.
Il mancato consenso non può essere valutato dal giudice in senso negativo, perché è una scelta che attiene strettamente alla strategia difensiva.
L’imputato, che ha chiesto o acconsentito all’esame, non è vincolato all’obbligo di rispondere secondo verità, infatti egli non è testimone.
Non è imputabile del delitto di falsa testimonianza, in quanto vige la causa di giustificazione ex art. 384 c.p., ma è punibile se incolpa di un reato un’altra persona sapendola innocente (calunnia) o se afferma falsamente essere avvenuto un reato che nessuno ha commesso (simulazione di reato).
L’aver detto il falso può, però, comportare conseguenze dal punto di vista processuale.
Infatti, se durante l’esame incrociato o successivamente, risulta che l’imputato ha mentito da quel momento egli può essere ritenuto non credibile e le sue affermazioni difficilmente convinceranno il giudice.
Per questo generalmente i difensori consigliano il silenzio piuttosto di mentire.
Nel corso dell’esame l’imputato può avvalersi del diritto al silenzio, rifiutandosi di rispondere ad una qualsiasi domanda.
Del suo silenzio deve essere fatta menzione nel verbale e può essere valutato come argomento di prova dal giudice, ciò significa che l’imputato può essere ritenuto non credibile: egli vuol nascondere qualcosa.
Infine l’imputato ha il privilegio di poter affermare di aver “sentito dire” qualcosa senza essere vincolato alle condizioni di utilizzabilità della testimonianza indiretta, egli, infatti, può non indicare la fonte da cui ha appreso l’esistenza del fatto.
Ovviamente non è detto che la dichiarazione sia ritenuta attendibile.

Tratto da DIRITTO PROCESSUALE PENALE di Stefano Civitelli
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