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Art. 140 bis c.d.c.: l’azione collettiva


Si è soliti distinguere due modelli:
- le azioni di classe che possono essere instaurate, previo un vaglio preventivo, da “un singolo individuo nell’interesse di una pluralità di soggetti (la classe) bisognosi di tutela giurisdizionale” (class action americana);
- le azioni collettive che sono promosse da associazioni rappresentative degli interessi di una serie di soggetti.
Le due azioni sono strutturalmente diverse e sono espressione l’una degli ordinamenti di common law, l’altra della maggior parte dei paesi di civil law.
Fin dalla legge del 1998 l’azione inibitoria può essere promossa dalle associazioni legittimate nei confronti di ogni comportamento lesivo e degli interessi dei consumatori.
L’art. 140 bis c.d.c. potenzia l’azione già prevista in due direzioni:
- l’estensione degli effetti a favore di tutti i consumatori coinvolti e “la condanna al risarcimento dei danni e la restituzione di somme dovute direttamente ai singoli consumatori o utenti interessati”;
- con la condanna il giudice potrà fissare i criteri in base ai quali devono essere liquidate le somme ai singoli consumatori o utenti che hanno aderito all’azione collettiva o che sono intervenuti nel giudizio; è prevista una fase conciliativa, dopodiché il singolo consumatore potrà agire per l’accertamento in capo a se dei requisiti individuati dalla sentenza per la determinazione precisa dell’ammontare del risarcimento.

Più specificatamente il passaggio alla fase conciliativa si svolge nei seguenti termini: a seguito della notificazione della sentenza, l’impresa ha 60 giorni di tempo per comunicare a ciascun avente diritto e depositare in cancelleria una proposta di pagamento di una summa, che se accettata dal consumatore costituisce titolo esecutivo; qualora l’impresa non comunichi la proposta nel termine o non vi sia stata accettazione, per la determinazione delle somme da corrispondere o da restituire ai consumatori o utenti che hanno aderito all’azione collettiva è costituita una camera di conciliazione formata da due avvocati, scelti rispettivamente dai soggetti che hanno proposto l’azione collettiva e dall’impresa convenuta, e da un avvocato scelto dal Presidente del Tribunale; il verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo.
Sotto il profilo della legittimazione ad agire, l’art. 140 bis c.d.c. introduce una novità significativa: essa spetta “alle associazioni di cui all’art. 139 c.d.c.”, ma anche alle “associazioni e comitati che sono adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi fatti valere”, pertanto non solo alle associazioni qualificate iscritte in appositi registri, ma anche alle associazioni o comitati che sono in concreto idonei a tutelare gli interessi di cui si fanno portatori.
L’azione di cui all’art. 140 bis c.d.c. non può essere ricondotta al modello nordamericano della  
class action, che, pur rappresentando anch’esso un tipo di tutela collettiva, concerne le azioni instaurate da un singolo individuo.
La scelta di riconoscere la legittimazione ad agire non solo alle associazioni iscritte nei registri è apprezzabile perché consente di promuovere con maggiore facilità l’azione, non essendo necessario attendere che la scelta di agire in giudizio sia rimessa alle associazioni rappresentative.
La norma introduce anche un giudizio di ammissibilità della domanda proposta.
È opportuno rilevare come il giudizio preventivo di ammissibilità sia proprio del modello della class action, perché il risultato finale, in caso di ammissione, vincola tutti coloro che appartengono alla classe.
Nell’ipotesi prevista dall’art. 140 bis c.d.c. la sentenza non fa stato nei confronti di tutti coloro che si riconoscono appartenenti ad una classe, ma verso coloro che hanno aderito all’azione collettiva.
Opportuna è la scelta del legislatore di prevedere la reclamabilità dell’ordinanza che si pronuncia sull’ammissibilità, innanzi alla Corte d’appello che decide in camera di consiglio.
La mancata previsione di controlli sul provvedimento che nega l’ammissibilità dell’azione avrebbe dato luogo a dubbi di costituzionalità per violazione del diritto d’azione.

Tratto da DISCIPLINA GIURIDICA DEI CONTRATTI di Stefano Civitelli
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