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Artt. da 40 a 43 c.d.c.: credito al consumo


La normativa che regola il credito al consumo non è stata traslata nel corpo del Codice del consumo, ma è stata lasciata nel contesto delle norme che regolano il settore bancario e creditizio.
L’art. 43 c.d.c. opera un espresso rinvio al TUB.
La nozione di “credito al consumo”, fa riferimento alla concessione nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale, di credito sotto forma di dilazione di pagamento o analoga facilitazione; rientrano, così, tra le fattispecie giuridiche cui gli operatori possono ricorrere: il mutuo, la vendita a rate, il leasing traslativo per il consumo.
Sotto il profilo soggettivo l’esercizio del credito al consumo è circoscritto alle sole categorie elencate dal TUB: le banche, gli altri intermediari finanziari non bancari e, limitatamente alla forma della dilazione di pagamento, i soggetti autorizzati alla vendita di beni o servizi.
Anche dal punto di vista oggettivo, vi sono alcune restrizioni all’operatività della normativa: il legislatore non disciplina i presupposti per l’esercizio del credito al consumo e le condizioni, ma detta limiti all’autonomia privata elencando previsioni di carattere contenutistico del contratto, meccanismi di controllo della validità degli atti e della correttezza nello svolgimento dell’attività di concessione del credito.
Infatti, il nucleo della disciplina è rappresentato dalle regole sulla formazione, validità, effetti, adempimento, inadempimento e risoluzione del contratto.
È stata così introdotta una sorta di “contratto quadro” inteso a garantire gli interessi dei consumatori a prevenire e sanzionare gli abusi dei finanziatori.
L’art. 40 c.d.c. attribuisce al Comitato Interministeriale per il credito e il risparmio (CICR) il compito di adeguare la normativa nazionale a quella europea, prestando particolare riguardo alla previsione di indicare il cosiddetto TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale).
L’art. 42 c.d.c. regola il caso di inadempimento del fornitore, sancendo una corresponsabilità del finanziatore, avverso la quale il consumatore può agire nei limiti del credito concesso, purché il consumatore abbia inutilmente costituito in mora il fornitore e sussista un accordo di esclusiva tra fornitore e finanziatore.
Con questa previsione il legislatore ha voluto responsabilizzare il finanziatore, soltanto quando tra questi e il fornitore vi sia un rapporto stabile ed esclusivo.
Il testo normativo non è del tutto chiaro e non elimina le perplessità in merito alla natura di tale responsabilità (solidale, poiché non occorre un titolo esecutivo giurisdizionale per poter agire; o sussidiaria, dovendosi, comunque, provare di avere inutilmente costituito in mora il fornitore).
Non va trascurato che nel caso in cui l’operazione di credito al consumo sia conclusa al di fuori dei locali commerciali, oppure a distanza, è riconosciuto al consumatore il diritto di recedere dal contratto entro 10 giorni lavorativi, che implica la risoluzione ope legis anche del contratto di finanziamento.
Infine, si ricorda che sulla materia ha inciso anche la riforma del risparmio che impone a banche, intermediari finanziari ed altri soggetti individuati dal Ministro dell’economia e delle finanze, di aderire a sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie.
Queste procedure potranno svolgersi in base ai criteri che saranno fissati dal CICR su proposta di Banca l’Italia.
Tali strumenti non pregiudicano, peraltro, il diritto dei clienti di ricorrere a qualsiasi altro strumento di tutela previsto dall’ordinamento (ivi compresa l’azione giudiziale).

Tratto da DISCIPLINA GIURIDICA DEI CONTRATTI di Stefano Civitelli
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