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Violazione della buona fede e invalidità


La violazione della regola di buona fede può comportare la nullità o comunque l’inefficacia del contratto e si è osservato che la clausola è lo strumento prioritario per garantire la giustizia del contratto.
La verità è che la buona fede, anche nelle motivazioni delle pronunzie della Corte di Cassazione, integra le norme di validità e assume un ruolo, decisivo, nel coordinare la disciplina dell’atto e dei contegni e nel ripensare gli elementi strutturali dei nuovi rimedi.
La sua violazione, di per sé, non comporta nullità del contratto, ma risarcimento dei danni, come si evince dall’art. 1338 c.c. e da una recente sentenza della Cassazione.
In essa si precisa che le norme di comportamento a carico di operatori del mercato possono avere natura di ordine pubblico, ma lo strumento di una loro ricezione non è la nullità virtuale: l’art. 1418 c.c. “attiene ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, che riguardano la struttura e il contenuto del contratto, mentre i comportamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattative o durante l’esecuzione del contratto rimangono estranei alla fattispecie negoziale e la loro eventuale illegittimità, quale che sia la natura delle norme violate, non può dar luogo alla nullità del contratto; a meno che tale incidenza non sia espressamente prevista dal legislatore.

Tratto da DISCIPLINA GIURIDICA DEI CONTRATTI di Stefano Civitelli
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