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Il movimento di riforma scolastica degli anni Sessanta

Nel 1971, alla Fordham University di Bronx fu tenuto un convegno sui problemi educativi, una Konference (la K stava ad indicare l'espressione rabbiosa di ribellione) destinata soprattutto ai critici radicali. 
Non avendo idee radicali da proporre, Postman utilizzò i 30 minuti a sua disposizione presentando un insolito programma per la scuola superiore. Il pubblico, non soddisfatto, si fece ostile accusandolo di essere uno dei tanti corrotti dal modo di vivere americano. 
Alla 57th Street era ormeggiata la nave Wasp coi ponti carichi di aerei pesanti con destinazione Vietnam. 
Per un critico del sistema educativo, si sosteneva, non c'era altra risposta oltre che far saltare la Wasp: non si può migliorare una classe finché non si migliora una scuola, e per far questo bisogna migliorare la comunità, ma per farlo si deve migliorare la società da cui essa deriva; il lavoro di un critico educativo, secondo questa visione, doveva cominciare dall'alto. 
Il Deschooling Society di Ivan Illich (a cui Postman fa spesso riferimento, giudicandolo infruttuoso) rappresentò la fine del movimento di riforma scolastica: Illich concluse che le scuole non erano riformabili e che la strada migliore fosse quella di abolirle del tutto (l'equivalente di far saltare in aria la Wasp). 
Perché il movimento di riforma scolastica si concluse con questi assurdi voli di fantasia? 
Gli scritti del movimento di riforma degli anni Sessanta avevano iniziato a proporre alternative di natura pratica: andava in questo senso il lodevole testo di John Holt, How Children Fail, una descrizione del comportamento e dei sentimenti degli alunni delle scuole elementari che evidenziava come l'esperienza scolastica fosse contraddistinta da noia, confusione e paura di non trovare la risposta esatta, di non capire certe cose come tutti gli altri, di distinguersi, di non distinguersi, del biasimo, del ridicolo, dell'insuccesso. 
Holt non è un filosofo dell'educazione, e non lo erano nemmeno Dewey, Kilpatrick, Count, Rugg, Hook. 
Nessuna ideologia li vincolava, nessun piano di ricostruzione sociale, né una chiara visione del futuro. Erano "critici ad hoc", insegnanti, giornalisti, psicologi, genitori che si sentivano offesi dal sistema scolastico. 
Seppur con i propri punti deboli, erano critici duri, realisti, almeno nei primi tempi. Muovevano dall'esperienza di vita reale dei fanciulli a scuola e le loro critiche erano rivolte ai metodi; attaccavano il curriculum, la mentalità industriale, i voti, le prove standardizzate, la burocrazia scolastica, il raggruppamento omogeneo. Alcuni giunsero a proporre alternative, ma non sempre spunti realistici. 
Il movimento finì di colpo, come un acquazzone estivo che coglie tutti di sorpresa e non lascia tracce.
 
Postman fa delle supposizioni su cosa possa essere successo: 

- la fine della guerra del Vietnam1 inaridì le sorgenti del vero risentimento; 

- tra coloro che si interessavano sul serio della scuola vi fu una comprensione insufficiente della complessità della scuola come istituzione sociale. La scuola non è luogo di una semplice interazione docenti-studenti, è il luogo in cui si negoziano le richieste di interessi politici, sociali, economici; 

- alcuni critici erano degli utopisti, cercarono un cambiamento totale: Illich riflette perfettamente questo difetto funesto; 

- molti critici nutrivano un disprezzo assai marcato per insegnanti ed amministratori pubblici, ossia per coloro che dovrebbero portare a termine le riforme proposte. Molti critici soffrivano del complesso del "soltanto io capisco" e non si diedero troppo da fare per fornire agli insegnanti materiale e metodi che riflettessero dei cambiamenti; allo stesso tempo la popolazione scolastica veniva guardata come attraverso una lente, in modo irrealistico, come un luogo di adulti ottusi dediti a opprimere fanciulli puri di cuore ed istintivamente umani; 

- troppo pochi erano i critici che avevano rapporti ufficiali con la scuola e con le istituzioni deputate a far penetrare le loro idee all'interno dei sistemi educativi (tra le altre cose questo significa che non si "guadagnavano da vivere" facendo i critici dell'istruzione); 

- sorse in concomitanza al movimento di riforma scolastica, quella che potrebbe essere definita Età dell'Automiglioramento: in senso moderno migliorare sé stessi significa ripiegarsi sui propri sentimenti, scrollarsi le proprie inibizioni, esorcizzare la colpa, non dire sì quando si vuol dire no. Ne "soffrirono"molti tra i giovani che all'inizio rappresentavano gli alleati naturali del movimento, che si allontanarono dall'arena sociale verso i mulini a vento delle loro menti. Giacchè l'azione sociale e il "guardarsi la pancia" non vanno d'accordo, privi di un sostegno di giovani energici, i critici della scuola erano disarmati; 

- il declino della situazione economica condusse a riduzioni e blocchi del personale della scuole: quando si è preoccupati di trovare e conservare un lavoro, non si diventa critici sociali di prim'ordine.

La critica scolastica è un lavoro stagionale. C'è un flusso e un riflusso nel pubblico interesse per l'istruzione e, come le onde, non scompare mai del tutto.
Postman sceglie di parlare di quello che giudica il problema più importante: cosa si dovrebbe insegnare. 

Il libro si divide in 3 parti: 

– nella prima si stabilisce il principio generale in base al quale dovrebbero essere assunte le decisioni su cosa insegnare; 

– nella seconda (che si compone di 5 capitoli) cerca di individuare i problemi ai quali l'insegnamento deve rispondere; 

– nella terza (6 capitoli) offre proposte sul modo in cui si potrà procedere. Forse – conclude – non ci serve un nuovo movimento, ma solo una buona conversazione. 

Tratto da ECOLOGIA DEI MEDIA di Giada Pierallini
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