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Creazione e adozione dell’innovazione nel settore agroalimentare

Qual è il processo che porta alla definizione di innovazione, soprattutto alla sua adozione? Quali sono le dinamiche dell’adozione di un’innovazione, i motivi per cui le imprese adottano un’innovazione, le aspettative delle imprese e le conseguenze sugli equilibri di mercato dell’adozione dell’innovazione? Tutte le transazioni, i processi produttivi, gli eventi rilevanti ai fini del funzionamento del mercato, avvengono istantaneamente. Tale ipotesi serve a rilevare alcuni nodi topici del funzionamento del mercato, mentre nel caso del progresso tecnico è un’adozione insostenibile, perché il tempo è una variabile cruciale. Introducendo il tempo come variabile importante per capire le dinamiche dell’adozione del progresso tecnico, possiamo distinguere due momenti: la creazione dell’innovazione e l’adozione dell’innovazione da parte delle imprese. Tempo fondamentale per capire anche come gli agenti economici si aggiustano sul mercato, una volta che un’innovazione è stata generata e adottata. Se possiamo distinguere questi due eventi, generazione e adozione, i soggetti protagonisti di questi due momenti, possono essere anche soggetti distinti; non necessariamente, chi genera innovazione, sarà anche colui che l’adotterà. Il progresso tecnico, migliorando la produttività dei fattori produttivi, fa spostare la funzione di costo marginale verso il basso e fa espandere la funzione d’offerta. Questa è la conseguenza dell’adozione di un’innovazione in un dato mercato, in termini d’offerta di quel bene.
Se sul mercato facciamo incontrare i produttori con i consumatori, riproduciamo la funzione d’offerta che si è espansa, passa da Y0 (blu) a Y1 (rossa); la funzione rossa è la nuova funzione d’offerta di mercato, dopo l’introduzione dell’innovazione. Gli apici 0 e 1 indicano due distinti momenti nel tempo. La funzione di domanda (disegnata in verde nel grafico) è ferma, non è successo niente dal lato del comportamento dei consumatori, che ne determini uno spostamento. Il nuovo equilibrio sarà determinato dall’unica coppia di prezzo e quantità, che rende compatibile la nuova funzione d’offerta di mercato con la funzione di domanda.

Come è cambiato tale equilibrio? Si scambia una maggiore quantità di prodotto, dove l’incremento è dato dalla distanza tra Y0 e Y1 sull’asse delle ascisse, a un prezzo più basso rispetto a prima, da P0 a P1. I consumatori saranno più contenti, comprano più di prima a un prezzo più basso, il loro surplus è maggiore dell’area verde (vedi grafico), perché prima il loro surplus era l’area compresa tra la funzione di domanda e la retta del prezzo P0, e adesso si è espanso perché è aumentata la quantità che acquistano e si è ridotto il prezzo. Sui produttori che effetto ha questo cambiamento? Un elemento è l’impatto della nuova tecnologia sui costi di produzione, ma un altro elemento da cui dipende il risultato netto dell’introduzione di un’innovazione tecnologica per i produttori, è il cambiamento della domanda, come reagiranno i consumatori; dipende da quanto si sposta la funzione d’offerta, come impatta l’innovazione sui costi. Ma se, a parità di cambiamento tecnologico, di spostamento della funzione d’offerta, i consumatori si comportassero diversamente, il loro comportamento fosse descritto da una funzione di domanda più rigida, il punto di equilibrio si sposta, il prezzo scende più di prima e la domanda si espande molto di meno. Il comportamento dei consumatori determina l’effetto netto alla fine dei conti, e i consumatori stessi saranno gli unici veri beneficiari ultimi dell’innovazione tecnologica. Ma c’è qualcosa che non funziona. Ad esempio, ci possono essere forme di limitazione della concorrenza, e ci possono essere motivi estranei al progresso tecnico, il quale può generare limitazioni alla concorrenza, perché può innalzare barriere all’ingresso nel settore. Altro motivo è che non si sta considerando esplicitamente la variabile tempo. Si sta facendo un confronto statico, si considerano due situazioni alternative in cui si guarda il prima e il dopo, non capendo cosa succede nel mezzo.

Cosa succede nel mercato se consideriamo il passare del tempo, quello che succede in momenti diversi. Prima cosa che accade è che gli imprenditori non si comportano tutti allo stesso modo rispetto alle innovazioni; ci sono alcuni più pronti a innovare, altri che formano le retrovie dell’innovazione, sono un po’ ritardatari a prendere il treno dell’innovazione. Se consideriamo tutte le imprese di un certo settore, guardando alla loro prontezza ad adottare innovazioni, il loro comportamento è più o meno di questo tipo qui (vedi grafico). Sull’asse delle ascisse lo scorrere del tempo, sulle ordinate la % cumulata delle imprese che adottano l’innovazione. Se si va all’estrema destra del grafico, c’è un momento in cui tutte le imprese del settore hanno innovato, e questo accade sempre, non c’è ne più nessuna che non innova, per quanto ritardataria possa essere, arriva un momento che, se sta ancora sul mercato, l’impresa ha innovato. Il punto d’arrivo è il 100% delle imprese che hanno innovato, ma questo ritmo d’adesione all’innovazione è incostante. All’inizio la curva cresce lentamente, le imprese che innovano sono poche e la % cresce piano piano; questo ritmo inizia, ad un certo punto, ad accelerare, dove la funzione è più pendente, il momento in cui le imprese stanno saltando sul carro dell’innovazione, hanno capito che l’innovazione è buona, innovare conviene e, quindi, c’è un picco nel ritmo d’adozione dell’innovazione. Dopodiché questo ritmo rallenta nuovamente, dove rimangono solo i ritardatari.

In questo grafico, invece, sulle ordinate abbiamo il numero di imprese che adottano innovazione, sulle ascisse il tempo. Inizialmente, sono poche le imprese che adottano (innovatrici), le prime che capiscono che l’innovazione può convenire. Seguono le imitatrici e le ritardatarie. In entrambi i grafici, la variabile rilevante è il tempo, perché innovare prima o dopo non è indifferente. Sempre conviene innovare prima? Dipende. Se l’innovazione cambia la natura del prodotto finito, in base alle indagini di mercato effettuate, può succedere che, alla resa dei conti, quel prodotto sul mercato non ha il successo che si pensava, o non c’è la immediatamente, ossia il prodotto può avere anche successo, ma il fatto che tale successo non sia subito, c’è la dopo un po’ di tempo, diventa un problema per le imprese che hanno innovato per prime. Perché questo? Perché per innovare, le imprese hanno sostenuto degli investimenti. Può essere vero che la struttura dei costi di lungo periodo diventi favorevole con l’innovazione, ma c’è un momento in cui l’impresa investe. Se l’impresa investe oggi, non è indifferente che, ai fini dei suoi risultati economici, i benefici iniziano ad arrivare tra 5 o 10 anni.

Innovare, pertanto, implica situazioni d’incertezza, accollarsi dei rischi, perché quando s’innova, si sostiene con certezza dei costi oggi, e non si sa con certezza se e quando arriveranno i benefici. Innovano per prime le imprese che hanno una struttura finanziaria abbastanza solida, perché possono permettersi di accollarsi dei rischi, ma anche le imprese gestite da imprenditori. Quali sono i vantaggi ad innovare per primi? Se si genera per primi un nuovo prodotto, si ha il vantaggio in termini di reputazione, il nome dell’impresa è associato a quel prodotto, e per gli altri sarà difficile scavalcare questa barriera.
Anche in termini di aumento della produttività dei fattori, c’è un vantaggio ad innovare per primi. Vantaggio che si nota, se si confronta l’equilibrio della singola impresa con l’equilibrio di mercato.
Situazione iniziale qualsiasi, dall’equilibrio di mercato ci prendiamo il prezzo P0, dato esogeno per la singola impresa. Abbiamo un equilibrio di breve periodo, l’impresa realizza dei profitti positivi (area verde grafico).
Ma se l’impresa introduce un’innovazione, la sua struttura dei costi si sposta verso il basso, non è più quella blu riportata nel grafico, ma è quella rossa. Però, siccome sul mercato le imprese che innovano sono poche, la funzione d’offerta dell’intero mercato risente poco dell’introduzione dell’innovazione, si sposta poco da S0 (blu) a S1 (rossa). Il prezzo scende appena. L’impresa che ha innovato, ha costi ridotti e vende ad un prezzo abbastanza vicino al prezzo di partenza (prima dell’innovazione). Le imprese che non hanno innovato, hanno la struttura dei costi blu. Ora, che la funzione di mercato è quella rossa, stanno meno bene di prima, hanno meno profitti; sono stimolate a copiare quello che hanno fatto le prime imprese.
Alcune imprese s’aggiungono alla schiera degli innovatori, li copiano. La situazione cambia ancora, c’è un ulteriore spostamento verso il basso della funzione d’offerta. Man mano che il prezzo di mercato si riduce, i risultati economici delle imprese che non hanno innovato peggiorano, fino a che arriva un punto nel quale, queste imprese o innovano o escono dal mercato. Questo è l’equilibrio di lungo periodo. O prima o poi, s’arriva a una situazione di equilibrio di lungo periodo, dove tutte le imprese che restano sul mercato hanno innovato. Questo nuovo equilibrio, per i produttori, può essere maggiore, minore o uguale, in termini di surplus. Alla fine del processo d’introduzione dell’innovazione, non sappiamo se i produttori stanno meglio o peggio di prima.
I consumatori stanno meglio di prima, ma c’è tutto un arco temporale tra la situazione iniziale e quella finale, nella quale solo le imprese che si sono sbrigate ad innovare, hanno realizzato dei profitti positivi. Arriva un momento in cui, questo vantaggio può venire a mancare, se non ci sono limitazioni concorrenziali, barriere all’entrata, altrimenti può diventare una posizione di vantaggio che permane nel tempo. Questa conclusione ci dice che, la rincorsa al progresso tecnico non si può fermare mai, perché i vantaggi che ne derivano sono strutturalmente transitori, arriva un momento in cui s’annullano, e se il mercato è concorrenziale i profitti tornano nulli. Per le imprese, le strade sono due: associare alle innovazioni delle forme di barriere all’entrata, oppure non smettere mai di innovare. La distinzione tra il momento della generazione dell’innovazione, e il momento della sua adozione, è una distinzione temporale e concettuale che ci porta a chiederci come siano connessi questi due momenti, e se tale connessione possa essere problematica. Gli economisti analizzano il rapporto tra questi due momenti, attraverso il concetto di mercato, in termini di domanda e offerta di innovazioni, dove chi genera un’innovazione e la detiene in qualche misura, è in grado di offrirla sul mercato, mentre le imprese interessate ad adottare innovazioni, a modificare i processi produttivi, esprimono la domanda d’innovazione. Questo modo in cui si connettono generazione ed adozione è piuttosto utile, perché mette in evidenza alcuni possibili problemi che si generano. La generazione delle innovazioni è un’attività costosa, perché la ricerca, sia di base che applicata, è un’attività che richiede tempo, investire capitali, competenze, ma intrinsecamente è una strada piena di incertezze, perché si ricerca qualcosa che non si conosce. Tanto più un settore è caratterizzato da imprese di piccole dimensioni, con tutte le conseguenze del caso, ossia scarsa disponibilità di competenze qualificate all’interno, di capitali da investire, tanto più le imprese del settore stanno dal lato della domanda delle innovazioni, non sono imprese generatrici di innovazioni, ma imprese che possono adottare innovazioni generate da altri. Tanto più un settore è dominato da imprese fatte in questo modo, tanto più sarà un settore che, nel suo insieme, dipende da innovazioni generate al di fuori del settore. Il processo di generazione del progresso tecnico è esterno all’impresa, ma interno al settore.
Questi settori, come quello agroalimentare, che adottano innovazioni generate in altri settori, si trovano spesso ad adottare innovazioni adattate, a partire da innovazioni generate con altre finalità. In un paese come l’Italia dove, come sappiamo, la frammentazione del tessuto produttivo, in particolare agricoltura e settore agroalimentare, è così tanto spinta, questa condizione di dipendenza è molto forte e si traduce in una dipendenza da innovazioni generate al di fuori delle imprese e del settore, ma anche al di fuori del paese, ossia innovazioni generate da imprese di altri settori che si trovano in altri paesi, e che hanno in mente una domanda di innovazioni che risponde ad esigenze che, non necessariamente, coincidono con le esigenze degli agricoltori prevalenti, date le condizioni strutturali dell’agricoltura nel paese che importa la tecnologia. E questo è accaduto, in parte, nel nostro paese, dove si sono importate molte innovazioni tecnologiche dagli Stati Uniti, dove c’è un’agricoltura che opera su una scala più ampia di quella italiana, c’è un rapporto tra popolazione e superficie coltivabile incomparabile col nostro. Queste imprese hanno avuto, da subito, l’esigenza di aumentare la produttività del lavoro, rispetto a quella della terra; il progresso tecnico, che domandavano le imprese agricole statunitensi, doveva migliorare l’efficienza di imprese capitalistiche, per le quali la manodopera era un costo esplicito e la spinta sulla produttività della terra era meno importante. Le innovazioni di questo tipo sono soprattutto meccaniche, ma anche chimiche che consentono di risparmiare lavoro, abbattere costi di manodopera. Queste innovazioni sono brevettabili, e si è sviluppato un mercato per tali innovazioni, grosse imprese come l’industria meccanica, chimica, generano innovazioni, le brevetta e le vende agli acquirenti. Ciò ha spinto il sentiero tecnologico, intrapreso e dominante sino ad oggi, in una direzione favorevole a massimizzare l’efficienza dei settori agroalimentari in alcuni contesti, meno in un contesto come quello italiano, dove la terra è poca ed è questo il fattore limitante del quale bisogna massimizzare la produttività per migliorare consistentemente l’efficienza del settore, imprese piccole di natura contadina, che utilizzano buona parte di manodopera familiare, che rappresenta un costo implicito per l’impresa, cioè all’imprenditore agricolo interessa profitto e remunerazione del lavoro.

Risparmiare sul lavoro non era la strategia più adatta a rendere più competitive le imprese dell’agroalimentare italiano. 50/60 anni fa, le famiglie contadine erano estremamente numerose, c’erano situazioni di esuberi di manodopera, sottoccupazione nelle campagne, salario basso e imprese non capitalistiche. Ciò non vuol dire che, le imprese non utilizzavano il progresso tecnico disponibile, anzi, tutti hanno meccanizzato, adottato fertilizzanti e antiparassitari chimici; guardando al processo, nelle sue conseguenze di lungo periodo, il sentiero del progresso tecnico non è stato neutrale a determinare maggiore o minore competitività di un tipo di agricoltura o di un altro. Che cosa avrebbe potuto complementare questo tipo di mercato dell’innovazione? Ci poteva essere un soggetto per complementare questo tipo di percorso del sentiero tecnologico. È il soggetto pubblico, nel campo dell’innovazione, ha un ruolo fondamentale, perché si deve fare carico di risolvere il problema del fallimento del mercato, dovuto alla natura di bene pubblico dell’innovazione, e lo può risolvere con un intervento di tipo minimale, offrendo un frame regolativo che privatizzi quel bene pubblico tutte le volte che è privatizzabile. Ma non tutti i beni pubblici, rappresentati dall’innovazione, sono privatizzabili. Inoltre, si deve fare carico, in prima persona, di compiere ricerche e generare innovazioni in tutti gli ambiti in cui, l’innovazione resta come bene pubblico e non si può privatizzare, altrimenti quelle innovazioni nessuno le genererebbe. Tra quelle innovazioni, ci sono le agronomiche, che hanno un impatto fortissimo sulla produttività della terra, e sarebbero state innovazioni fondamentali per aumentare l’efficienza e la competitività del settore agroalimentare in Italia. Perché sarebbero state? La ricerca pubblica, in Italia, è stata molto depotenziata e questo ha un grosso impatto, nel lungo periodo, sullo spostamento della frontiera tecnologica e su come s’orienta tale frontiera, sul tipo di percorso intrapreso dal sentiero. Quando un settore è caratterizzato in questo modo, cioè le imprese sono piccole, la dotazione in termini di capitale umano è scarsa, l’incontro tra domanda e offerta d’innovazione è difficoltoso. L’interazione tra domanda e offerta, quando il bene è oggetto di scambio, è complesso come l’innovazione, richiede il passaggio di un sacco di informazioni. Affinchè gli scambi avvengano, c’è bisogno che offerenti e compratori si scambino tanta informazione.

I potenziali offerenti devono farsi un’idea di quali innovazioni potrebbero essere utili per le imprese, per quali innovazioni ci potrebbe essere un mercato. I potenziali compratori, invece, devono capire in cosa consiste l’innovazione, come potrebbe essere utilizzata, come potrebbe essere applicata e adattata alle specifiche condizioni produttive dell’impresa. Si sviluppa poi la distinzione che gli economisti chiamano la domanda effettiva e la domanda latente di progresso tecnico. La domanda latente è la domanda che, teoricamente, le imprese esprimerebbero, se fossero in grado di capire su quale sentiero tecnologico a loro converrebbe mettersi, per migliorare la propria efficienza ed essere più competitive; implica la capacità di fare un’analisi critica della tecnologia che adottano, e di quali bisogni in termini di nuova tecnologia avrebbero per comparare i propri livelli d’efficienza con quelli dei concorrenti, di trovare i punti deboli e immaginare possibili soluzioni. Per quanto riguarda il settore agricolo, ma non solo, il soggetto pubblico è sempre dotato di servizi di assistenza tecnica. I tecnici pubblici dovrebbero aiutare le imprese, a trasformare la loro domanda latente d’innovazione in domanda effettiva, aiutarle a comunicare con le imprese che generano progresso tecnico oppure con le università, gli istituti di ricerca pubblica. Una volta che l’innovazione esiste, devono aiutare le imprese a capire che quell’innovazione può essere conveniente, e se l’adottano come adottarla. Quando esistono i brevetti, e si può pensare che abbiamo privatizzato l’innovazione e il mercato funziona bene da sé, in realtà non è proprio così ed è necessario l’intervento del settore pubblico; quando si fa un brevetto, si sta generando un monopolio, e da un fallimento di mercato, si ricade in un’altra situazione in cui l’efficienza si riduce. Il diritto di monopolio, la protezione data dal brevetto all’innovazione, per mantenersi nell’ambito di efficienza economica, l’estensione del diritto di brevetto va commisurata in maniera proporzionata ai costi che sostengono le imprese per generare l’innovazione. Brevetto che deve consentire di coprire i costi, più un tasso di profitto ragionevole, che copre il rischio.

Tratto da ECONOMIA DEL SETTORE AGROALIMENTARE di Valerio Morelli
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