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Filiera cerealicola

Dato 100 che è il valore del prodotto finale della filiera della pasta, acquistata dai consumatori, il 91% di tale valore copre ciò che avviene a valle della componente agricola della filiera, mentre il 9% copre il costo del grano; grano considerato come materia prima, input per i successivi processi che avvengono nella filiera (es. la molitura del grano che diventa farina, miscelazione delle diverse farine, produzione e commercializzazione della pasta).
Il grafico ci dice cosa avviene nella filiera cerealicola italiana, tutte le figure dei diversi stakeholders che giocano un ruolo nella filiera.
Ci sono le imprese agricole che producono cereali, che possono vendere a intermediari, a commercianti; possono essere riunite in cooperative/consorzi, che raccolgono il prodotto, oppure possono vendere direttamente alle imprese di molitura. Questi canali, a loro volta, sono in comunicazione con le imprese a valle, come panifici/pastifici industriali e panetterie, ma sono anche in comunicazione tra di loro. Le cooperative non acquisiscono granella di cereali solo da imprese cerealicole, ma possono acquistare sul mercato anche da intermediari, possono agire da collettori di prodotto e venderlo a molini e altre categorie di trasformatori. Una volta ottenuto il prodotto finito, subentra il dettaglio, la vendita del prodotto finito, che può avvenire attraverso canali di diverso tipo, che diffondono il prodotto al consumatore finale.

La frammentazione della filiera

In Italia, a fronte di una frammentazione spinta di tutte le fasi della filiera, agricola e non solo, si riscontra uno scarso livello di coesione degli agenti che operano nelle filiere. Mentre una grande impresa può integrare verticalmente al suo interno tante funzioni, escludendo rapporti con partner commerciali, l’acquisizione di consulenti o semilavorati, per le imprese piccole, invece, la coesione con le altre imprese che concorrono insieme a portare a compimento un processo produttivo, a definire un prodotto che arriva sul mercato, è un aspetto essenziale. I rapporti tra stakeholders sulla filiera possono essere di natura differente: possono essere semplici rapporti stock sul mercato, possono derivare da contratti pluriennali, contratti che possono essere specificati con un grado di maggiore o minore dettaglio, prevedere rapporti di collaborazione stretti con l’acquirente che offre servizi o svolge controlli su imprese che forniscono materie prime o semilavorati, offrire assistenza tecnica. Come avviene nei distretti industriali, si possono realizzare rapporti stabili nel tempo, seppur non formalizzati da contratti, di tipo consuetudinario. Tutto questo, in Italia, accade molto poco. Le filiere sono composte di un gran numero di imprese, perché ad ogni livello del processo produttivo, le imprese sono di piccole dimensioni, e perché c’è anche una frammentazione molto spinta del processo stesso, con elevato numero di intermediari.
Il grado di frammentazione di un processo produttivo, la separabilità dell’insieme di azioni che vanno adottate per portare materie prime, input, a combinarsi tra di loro e divenire output, questa scomponibilità è un elemento cruciale nel capire la complessità di una filiera, quanto una filiera può scomposta in singole fasi. C’è un dato tecnico, che fa capo alla tecnologia di produzione, da cui dipende quanto una singola impresa si specializzi in un solo pezzetto del processo produttivo.

Il costo di trasporto

Altro elemento da cui dipende il grado di scomposizione effettiva del processo, e la configurazione della filiera più o meno suddivisa in stadi, è l’incidenza del costo di trasporto. Costa molto trasportare, rimuovere un semilavorato da un luogo, e ci sono vincoli di tempo entro i quali questo trasferimento deve avvenire? E quali sono i costi connessi? All’aumentare dei costi di trasporto e dei vincoli che la natura del processo impone sulle possibilità di trasportare il prodotto, possono determinare o una riduzione della scomposizione del processo stesso, oppure una concentrazione territoriale delle diverse imprese che concorrono a completare il processo produttivo. Si potrebbe avere un processo produttivo scomposto in diverse fasi, ma le diverse imprese sono obbligate a localizzarsi in un’area ristretta. Economie di scala: giocano nei termini di favorire la concentrazione. Consistono in una riduzione del costo unitario di produzione, man mano che cresce la scala produttiva, ossia la dimensione dell’intero processo. Qualsiasi processo produttivo manifesta diversi livelli dei costi unitari di produzione, in corrispondenza di diverse dimensioni del processo stesso. I diversi processi manifestano economie o diseconomie di scala (crescita dei costi unitari di produzione), per dimensioni del processo stesso che possono essere variabili. Una delle ragioni per cui le imprese agricole tendono ad essere più piccole delle dimensioni prevalenti delle imprese in altri settori, è che in agricoltura subentrano presto, al crescere delle dimensioni produttive, dei fattori che determinano diseconomie di scala, degli attriti organizzativi. Impossibile dire, in assoluto, a quale dimensione dei processi produttivi, si ha una scala produttiva ottimale, tale per cui si è beneficiato di tutte le possibili economie di scala per quel processo, e se si cresce un po’ si entra nel tratto delle diseconomie di scala. Per ogni specifico processo produttivo, c’è una dimensione ottimale della scala su cui avviene quel processo.
Se la scala ottimale, con riferimento al minimo costo di produzione, sia piccola o grande, è una rilevazione che si può fare in termini relativi, confrontando la dimensione ottimale di quel processo con le dimensioni del mercato di quel prodotto, generato da quel processo. Le economie di scala si realizzano in un intervallo dimensionale del processo produttivo. La dimensione ottimale di un’impresa è grande, se lo è rispetto alle dimensioni complessive del mercato; quella stessa dimensione potrebbe essere piccola su un altro mercato. Economie di scala, quindi, giocano un ruolo fondamentale nel valutare quale sarà la configurazione di una filiera, e un altro elemento rilevante è quanto incidono le economie che si possono ottenere, collocandosi sulla scala produttiva ottimale. Costi di transazione. Quando ragioniamo di come funziona un mercato, ipotizziamo che gli scambi avvengano automaticamente e senza problemi. Non c’è alcun costo connesso alla decisione di vendere o di acquistare, e all’implementazione effettiva della transazione. Questa è una conseguenza del fatto che abbiamo, per ipotesi, escluso dalla realtà virtuale del mercato, l’incertezza e l’incompletezza delle informazioni a disposizione degli agenti. Ipotizziamo che siano tutti perfettamente informati sulle condizioni rilevanti per gli scambi, immaginiamo che ogni acquirente/cliente potenziale sappia come è fatto il prodotto di un’impresa, ma anche delle altre, sappia qual è il prezzo di un’impresa, ma anche delle altre, ecc. Immaginiamo che siano tutti omogenei questi beni. Per ipotesi, abbiamo eliminato la componente temporale, si fa tutto istantaneamente. Il tempo ha un valore nella vita delle persone. Con i costi di transazione, quindi, includiamo tutti i costi monetari e non, come il tempo che impiego per valutare se quel bene è veramente il bene che voglio, raccolta delle informazioni, confronto delle alternative, valutazione di quanto un bene corrisponde alle proprie necessità.


Margini di incertezza

Ogni transazione tra gli operatori è associato ad un costo, che non è solo il costo vivo, pulito di acquisizione del bene, ma si tratta di un costo complessivo al quale s’aggiungono altri addendi, tra cui i margini di incertezza, il trasporto. Se alcune voci dei costi di transazione sono molto elevati, questo spinge verso un compattamento delle filiere.
Se i margini di incertezza sono forti, di avere il prodotto nelle condizioni in cui si erano pattuite tra le controparti, questo genera una convenienza per le imprese a internalizzare la funzione dell’impresa, invece di acquisire sul mercato un servizio o un semilavorato, la stessa impresa si organizza al suo interno per saltare il mercato, e creare una funzione dell’impresa dedicata all’acquisizione di quel semilavorato o materia prima, oppure spinge verso forme di coordinamento forte, non si va sul mercato a cercare solo ciò di cui abbiamo bisogno, ma si fa un contratto pluriennale col fornitore, specificando che se il cliente non riceve la fornitura entro tot giorni dopo la scadenza pattuita, il cliente può rescindere il contratto, applicare una penale; o ancora, le controparti concordano che il fornitore si farà seguire da una ditta di certificazione che, periodicamente, procura un report al cliente e così via. In questo modo, le controparti riducono il margine di incertezza, e stabiliscono alcuni parametri nel momento in cui stipulano il contratto e, per tutta la durata del contratto, resta ferma la validità di ciò che hanno concordato.

Caratteristiche della domanda

Le caratteristiche della domanda, quello che i consumatori chiedono, vogliono, desiderano, è un aspetto essenziale per capire come si organizza il tessuto delle imprese. Una domanda standardizzata gioca in favore di filiere più coese, una minore segmentazione e diversificazione del mercato. Radicamento territoriale forte delle produzioni che, in agricoltura, è un elemento importante, perché cambiano le condizioni ambientali, naturali, c’è una diffusione di alcune specie o varietà limitata ad alcuni territori. La differenziazione, su base territoriale, delle produzioni e il radicamento territoriale di queste, che certe produzioni sono localizzate in un territorio, è dato da fattori storici e dal fatto che, quella produzione può avvenire lì e non altrove. Ci sono tante filiere diversificate, a livello territoriale. Anche il quadro normativo esercita un’influenza rilevante nella configurazione di una filiera. Le piccole imprese, se non sono inserite in un sistema relazionale, soffrono particolarmente del livello non favorevole dei costi unitari di produzione e della struttura degli stessi costi, dove la rigidità della componente fissa incide molto. Si potrebbe far riferimento a una contrapposizione tra altre due categorie di costi, costi espliciti e impliciti.
Una delle ragioni per cui le imprese agricole resistono nel tempo, nonostante una struttura dei costi e una posizione di mercato sfavorevole, è che hanno una struttura dei costi dove la componente implicita è molto elevata rispetto a quella esplicita, perché utilizzano manodopera familiare. Lavorando nella mia impresa, accetto una remunerazione inferiore al costo opportunità. Sono imprese familiari con capitali e terreni propri.

Il potere di mercato

Altro elemento che sfavorisce le piccole imprese è la mancanza di potere di mercato, subendo il potere di mercato delle controparti; il fatto che queste imprese non sono inserite in una filiera, dove c’è coordinamento, le espone a subire le condizioni di mercato della controparte. Anche la capacità d’investimento rappresenta un elemento di fragilità delle piccole imprese, le quali operano su base individuale, non sono connesse a un network di altre imprese, in una cooperativa/consorzio che s’interfaccia, ad esempio, col sistema bancario, dove ha difficoltà nell’accesso al credito, e può essere penalizzata dalla impossibilità di fare investimenti di tipo sunk cost, irrecuperabili. La capacità innovativa penalizza le piccole imprese che non sono coordinate orizzontalmente e verticalmente con altre imprese della stessa filiera, perché non solo il processo di generazione delle innovazioni è costellato di beni pubblici, collettivi, esternalità, ma si realizzano anche molte complementarità. Il processo innovativo avviene attraverso l’esplicarsi di attività complementari, svolte da diversi soggetti che si devono coordinare tra di loro.

Visibilità e reputazione

Una delle penalizzazioni principali sui mercati globalizzati. Ottenere visibilità presso i clienti finali, per poter costruire nel tempo una propria reputazione d’impresa, è uno dei fattori limitanti, che rappresenta una spinta alle imprese a mettersi insieme, su basi diverse, per aumentare la propria visibilità. Marchi collettivi, diverse forme di certificazione sono un modo per fare massa e ottenere visibilità presso i consumatori. Soluzioni per le piccole imprese per superare queste limitazioni. La più banale è crescere, dove le imprese possono adottare diverse strategie, come fusioni, acquisizioni, joint venture, integrarsi verticalmente o orizzontalmente. La crescita può avvenire tramite una diversificazione interna della produzione, e per crescere servono capitali e capacità. Altro ostacolo forte sono le nicchie di mercato, i mercati si segmentano, ci sono nicchie di domanda colte bene da piccole imprese d’eccellenza, specializzate nel fare bene qualcosa.

Tratto da ECONOMIA DEL SETTORE AGROALIMENTARE di Valerio Morelli
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