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Efficacia della normativa procedurale sul terrorismo


A seguito del forte impatto emotivo provocato dagli attentati dell’11 settembre 2001 e ai conseguenti impegni assunti a livello internazionale (in seno alle Nazioni Unite e all’Unione Europea), il legislatore italiano ha introdotto alcune modifiche all’ordinamento vigente, tese a sancire il terrorismo anche di tipo internazionale e il suo finanziamento.

In quest’ottica, vanno viste la legge n. 438 del 2001 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 18 ottobre 2001, n. 374, recante disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale) e la legge n. 34 del 2003 (Ratifica ed esecuzione del Convenzione internazionale per la repressione degli attentati terroristici mediante utilizzo di esplosivo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 15 dicembre 1997, e norme di adeguamento dell’ordinamento interno), che innovano alcune fattispecie di reato già in vigore e ne introducono di nuove, oltre a prevederne le conseguenti modifiche al codice di procedura penale.

In particolare, l’art. 1 della legge n. 438 del 2001, mantenendo sostanzialmente l’impianto normativo preesistente, ha introdotto due nuove fattispecie delittuose: l’«Associazione con finalità di terrorismo internazionale » e l’«Assistenza agli associati »; di conseguenza, l’art. 10-bis della stessa legge ha potenziato l’apparato investigativo e repressivo nello specifico settore del terrorismo interno (eversione dell’ordine democratico) ed internazionale, aggiungendo all’art. 51 del codice di procedura penale il comma 3-quater, che attribuisce all’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto, nel cui ambito ha sede il giudice competente, i procedimenti pendenti per i delitti consumati o tentati con questa finalità.

Scopo della nostra relazione, a quest’ultimo proposito, sarà constatare se, in seguito all’entrata in vigore della nuova normativa procedurale, il numero di procedimenti definiti presso gli Uffici giudicanti, in questo settore penale, in relazione al numero dei relativi procedimenti pendenti presso le Procure e gli Uffici giudicanti, sia percentualmente aumentato e con quale entità rispetto alla vigenza della normativa precedente.
La metodologia di ricerca, da noi adottata, consiste nell’analisi e nell’interpretazione dei documenti quantitativi, di carattere non giuridico, raccolti dal funzionario del Ministero della Giustizia, R. Cimini , nel periodo 1996-2003, riguardo il numero di procedimenti penali pendenti e definiti presso gli Uffici giudiziari inquirenti e giudicanti, divisi per macroarea geografica (Nord, Centro e Sud), ed il numero delle persone coinvolte, suddivise per qualificazione giuridica del reato; in questo modo, dopo aver definito la funzione manifesta della norma in questione, sarà possibile verificare, da un punto di vista sociologico, l’efficacia o meno della stessa e l’eventuale influenza della coscienza giuridica e della conoscenza giuridica degli operatori del diritto sul più ampio impatto della stessa, naturalmente distinguendo tra i periodi 1996-2001 e 2002-2003, come già sopra evidenziato.

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